venerdì 12 marzo 2021

Non ricordo se me l'aveva detto qualcuno oppure se l'avevo dedotto da sola: i miei mal di stomaco, i miei incubi, la mia insonnia, i miei attacchi d'ansia e di panico - tutti meccanismi che il mio corpo mette(va) in atto per somatizzare altre cose. 

Vivevo - a volte letteralmente grazie alla lametta - sul mio corpo tutto ciò che la mia mente non riusciva ad elaborare. 
Probabilmente lo faccio ancora. 

Ho sempre evitato - quando potevo - di andare dal medico. 
Persino quando le mie coliche avevano raggiunto la frequenza di una ogni due settimane non volevo andare, convinta che sarebbe passata - e certo, alla fine è passata, ma ci è voluto un intervento chirurgico perché accadesse.

La mia dottoressa di sempre è andata in pensione all'inizio dell'anno scorso e avrei anche fatto a meno di conoscere quella nuova se non fosse stato per un dolore alla schiena che non mi dà tregua da due anni. 
Quello nella parte bassa della schiena non è una novità, convivo con una lombalgia che mi impedisce di dormire a pancia bassa dal 2003. Ma è quello nella parte alta che mi sta rendendo un'agonia stare a letto cinque notti su sette e che a volte mi costringe a fare le quattro del mattino sveglia pur di restare a letto il meno possibile. 
 
Nel corso dell'anno scorso - COVID permettendo - hanno ricominciato a cavarmi sangue come non facevano dal 2018. Ho visto ortopedici e fisioterapisti che mi hanno detto di non aver mai visto una persona dalla muscolatura più contratta della mia - ed è meglio non parlare di quanto faccia male sciogliere i muscoli che circondano il diaframma. 

Ieri ho visto un reumatologo e ha pronunciato il nome di qualcosa che non mi aspettavo. 
Qualcosa che poi ho cercato su internet - e sì, lo so che non si dovrebbe fare, ma ehi: avevo già una mezza diagnosi, non sono andata a cercare io i sintomi per vedere a cosa corrispondevano. 

Ho letto tutti i disturbi ai quali è collegato ciò che ha detto il reumatologo e io continuavo a mettere le spunte verdi nella mia testa a buona parte delle voci in elenco. 
Ho letto le probabili cause e mi sono trovata ad annuire. 

Ho letto di traumi fisici e psicologici, stress, ansia, depressione, interventi chirurgici, tensione dovuta al meccanismo "combatti o fuggi". 

Ho ripensato alla mia tensione muscolare e alla severa contrattura a cui sottoponevo i muscoli ogni volta che arrivava una colica. Ho ripensato al modo in cui "bloccavo" i muscoli ogni volta che dovevo alzarmi dal letto post-intervento. 
Ho ripensato ad anni ancora precedenti, al modo in cui bloccavo i muscoli per respirare in maniera più lieve per non farmi notare e rimpicciolirmi alla vista degli altri - la mia fisioterapista ha detto che io non respiro di diaframma, ma di torace. 
Ho ripensato al modo in cui il mio meccanismo "combatti o fuggi" è sempre attivo, persino quando sono a casa - non riesco mai a rilassarmi. 

Se potessi evitare di andare dal medico lo farei e invece è dal 2018 che non faccio altro che vedere specialisti di ogni - perché non bastava l'intervento addominale del 2018 e la diagnosi dermatologica di una malattia cronica nel 2019 dopo dieci faticosi anni di dolore e prese in giro da parte di altri medici incompetenti, adesso pure questa. 

Beh, affronteremo anche lei.

martedì 26 gennaio 2021

Ieri gli A Day To Remember hanno trasmesso in diretta streaming su YouTube un set acustico - o meglio, tutti (compresa io) avevano capito che sarebbe stato live e invece era registrato. 

La cosa mi è importata? 
Sì e no. 

Ovviamente live sarebbe stato molto più bello, ma anche registrato è stato per me emozionante lo stesso. 
Si è trattato di un set veramente piccolo - sette canzoni e mezza (e dico mezza perché l'ultima l'avevano rilasciata acustica un paio di giorni prima e chiudeva il set facendo da sottofondo ai credits del video). Però in questo set ci sono state alcune delle mie canzoni preferite - in primis I Surrender, I'm Already Gone e If It Means a Lot to You. E davvero, perdonate il gioco di parole, ma If It Means a Lot to You means a lot to me - è una delle mie preferite da sempre. 

In attesa del nuovo album a marzo è stato bellissimo risentire la voce di Jeremy, soprattutto con qualcosa di acustico. E mentre ero cullata da I'm Already Gone, ho riflettuto ancora una volta sul fatto che sebbene io rispetti tutti i gusti musicali, credo avrei seri problemi con qualcuno che non rispetta i miei e non ama la musica che amo io con (quasi) la stessa intensità. 

Ho ripensato agli ultimi anni di liceo, a quando il mio malessere interiore era espresso anche dal mio modo di vestire, di truccarmi, di pettinarmi, di isolarmi dal mondo ascoltando musica che coprisse i rumori esterni e soprattutto quelli provenienti dai miei pensieri. 
 
Nonostante questo ho sempre amato le versioni acustiche delle mie canzoni preferite, ho sempre sperato che venissero realizzate e le ho sempre cercate quando sapevo che esistevano. Le versioni acustiche erano - e sono ancora - per me una coccola, qualcosa che già amavo ma che potevo amare in una sfumatura diversa e più profonda. 

Non ho mai pensato che questo facesse valere meno il mio amore per la versione originale, per tutte quelle canzoni che "picchiavano duro" - che fossero per i riff di chitarra, che fossero per le percussioni di batteria o per le urla screamo. 

Eppure c'era una persona nella mia vita che sminuiva questo mio amore per le versioni acustiche e, sentendo questo, mi sentivo sminuita anche io - come se amare una versione più "soft" di una canzone fosse un punto di demerito. 
Come se mi rendesse "meno" - meno emo, meno dura, meno accettabile, meno interessante, meno degna della musica che amavo. 

E so che è una cosa stupida, lo so bene - non ho mai rinnegato le versioni acustiche e non lo farò di certo ora, ma all'epoca mi turbava. 

E anzi, mai come ieri sera quando ho sentito Jeremy cantare I'm Already Gone, mi sono resa conto di quanto siano una parte imprescindibile di me stessa.

venerdì 17 luglio 2020

Colpisci sempre a tradimento, vero? 

Non pensavo sarebbe successo, sono in ritardo di anni e comunque non capivo il motivo di tutto quel rumore a proposito, ma niente - è bastata una canzone e sono entrata anche io nel tunnel di Hamilton

È bastata UNA canzone. 

E guarda caso mi ha fatto pensare a te. 

Non puoi capire quanto odi il fatto che io sia convinta di essere passata sopra tutto, di essermi lasciata tutto alle spalle, che niente che ti riguardi possa ancora scalfirmi e poi basta UNA STROFA e boom, ci risiamo. 

Ma certo non ti dirò di quale canzone di Hamilton si tratta. 

sabato 4 aprile 2020

La musica sembra proprio essere l'unica cosa a volte capace di tenermi sana - lucida. 

Gli All Time Low sono una band che in genere mi è sempre piaciuta, ma non sono mai diventata una vera fan - non ho mai ascoltato ossessivamente i loro album fino a saperli cantare persino nel sonno come sono stata capace di fare con quelli di altre band. 
Canzoni loro sì ne ho ascoltate alcune ossessivamente a seconda del periodo e della rilevanza di quella canzone per me nella mia vita, ma interi album quelli mai. 

Non mi considero una vera fan per questi motivi, ma comunque li ascolto dal... boh? 2006? 2007?
Insomma, da Dear Maria, Count Me In.  

Ma sin da quando hanno fatto uscire il primo singolo del nuovo album Some Kind of Disaster, ho subito capito dal verso "I shut my eyes at seventeen" che quest'anno qualcosa sarebbe stato diverso. 
E singolo dopo singolo dopo singolo, me ne sono convinta sempre di più. 

Ieri è uscito l'album Wake Up, Sunshine e lo amo tutto - completamente, nella sua interezza. 
Non mi è mai capitato di amare interamente un album degli All Time Low, è la prima volta.  

E l'album in generale ha tutte quelle vibes di quegli album che quando ero adolescente mi hanno fatta innamorare delle loro rispettive band - un amore che poi mi sono trascinata dietro negli anni e che si è cementato.

Lo amo tutto, dalla prima traccia all'ultima ma ho comunque le mie preferite: Melancholy Kaleidoscope (che è uno dei singoli usciti), Favorite Place (che è una  delle canzoni più romantiche che io abbia mai sentito) e Safe (che ha tutta un'atmosfera alla Drown dei Carolina Liar per il modo in cui alcuni versi me la ricordano e che nel 2011 per me è stata vitale). 

E so perché lo amo in questo modo: perché in qualche modo tutte le tracce parlano alle versioni più importanti di me stessa che sono esistite - la quindicenne che si sentiva invincibile, la diciassettenne a pezzi, la ventenne e qualcosa ancora nella fase intermedia tra adolescenza e maturità e ossessione e voglia di dimenticare NAC, la trentenne di adesso. 

Nelle quindici tracce di Wake Up, Sunshine ci sono io nella mia interezza. 
E forse io non mi amerò nella mia interezza come amo questo album, ma credo sia già qualcosa - e si sa che quando riconosco me stessa in qualcosa o lo abbraccio completamente e lo amo oppure lo rifiuto.  

E Wake Up, Sunshine è ufficialmente diventato il mio album preferito degli All Time Low.

giovedì 5 dicembre 2019

Avrei voluto scrivere nelle ore immediatamente successive al sogno, ma poi un po' mi sono detta di aspettare e un po' mi sono dimenticata. 
Forse è stato meglio così perché questo mi ha dato una lucidità che magari prima non avrei avuto. 

Non era uno dei miei sogni ricorrenti, ma gli assomigliava sotto molti aspetti.  

Ricordo che eravamo sedute sul bordo di un marciapiede. 
Ricordo che parlavamo. 
Ricordo che era come se gli anni in cui ci siamo ignorate non fossero mai esistiti. 
Ricordo che provavo un sollievo indescrivibile per questa cosa. 

Ricordo che eri seduta accanto a me eppure sentivo lo stesso terribilmente la tua mancanza.  

Mi sono svegliata in uno stato di confusione - come succede sempre quando ti sogno. 
E per un po' mi sono convinta che fosse reale, ho pensato ai giorni in cui ci sedevamo sui gradini della scuola elementare oppure sulla panchina in piazza contro il muro dell'anfiteatro a chiacchierare e a vedere chi passava - ci ho pensato tutta la mattina. 
Chissà, magari in un universo parallelo stavamo davvero vivendo quel momento.  

E poi, quasi neanche a farlo apposta, mentre andavo al lavoro quel giorno nella mia playlist in macchina è stato il turno di The Sound of You and Me degli Yellowcard - e fa sempre male. 

I will not forget the sound of you and me
When we were friends

Mia madre è praticamente riuscita a sradicarmi dalla testa ogni pensiero riguardo alla mia convinzione che le coincidenze non esistono, ma quando succedono queste cose non posso fare a meno di chiedermi se invece le coincidenze esistono davvero e se esistono, allora devono avere un motivo.  


La musica è sempre quella tiene in piedi una parte della mia vita. 

L'ultima traccia della playlist che ho in macchina - prima che cominci di nuovo dall'inizio - è una versione acustica di Thunder dei Boys Like Girls, registrata prima ancora che diventassero famosi. 
E lo so che ormai l'ho detto tante volte, ma ancora una volta - cantandola - mi sono resa conto di quanto sia tornata ad essere solo mia. Di quanto ora sia spoglia di qualsiasi connotazione relativa a NAC. 

Ed è una sensazione bellissima.


E visto che in macchina è ancora il turno dell'album When You're Through Thinking, Say Yes, ieri ho capito qualcosa che prima proprio mi sfuggiva. 

Dico sempre che quell'album mi ha cambiato la vita, che mi ha fatto amare gli Yellowcard come prima non li avevo mai amati, che li ha fatti diventare la mia band preferita e che da quel momento in poi i loro album sembravano andare di pari passo con la mia vita. 

Quello che non avevo capito è che la musica che amiamo - quella che davvero resta con noi lungo il corso della nostra vita - ci offre nuove prospettive che cambiano con la nostra età e con le nostre esperienze. 

With You Around e Hang You Up erano tracce che associavo a NAC. 
Poi ieri le ho sentite e stavolta con un orecchio nuovo - con occhi nuovi e prospettive nuove. 

With You Around è una bellissima canzone d'amore che ora dedico a me stessa perché la seconda strofa mi descrive ancora alla perfezione nonostante siano passati otto anni. 

Hang You Up ha cambiato anche lei destinatario - prima mi faceva pensare a NAC e invece ieri mi ha fatto pensare a te. 

It's hard to see you, we are older now
And when I find you, you just turn around

Ho sentito questo verso e ho subito avuto un flash dell'ultima volta che ho ti ho vista un paio di mesi fa, di come io abbia provato a salutarti e di come tu ti sia girata dall'altra parte. 

Di come abbia fatto male anche se non lo volevo ammettere.


E ho pensato alle tre volte che ho letto Il Grande Gatsby di Fitzgerald e di come ognuna di quelle tre volte mi abbia permesso di cogliere sfumature nuove della stessa storia perché io nel frattempo ero cresciuta. 

E allora ho pensato che magari è la stessa cosa con la musica e con le canzoni che amiamo, quelle che ci definiscono e quelle che restano con noi nel corso degli anni perché non sono cotte passeggere. 
Quelle canzoni che sono amore vero, quelle che anche dopo quasi un decennio sono in grado di darti qualcosa di nuovo - un nuovo ricordo, un nuovo sorriso, una nuova lacrima, un nuovo rimpianto, un nuovo significato.

venerdì 18 ottobre 2019

Ci sono canzoni che mi fanno venire la pelle d'oca - come quelle in cui Ryan Key, quando esistevano ancora gli Yellowcard, cantava di suo nonno. 

Ci sono canzoni che mi fanno sentire come se potessi spaccare il mondo - come Right Back At It Again degli A Day To Remember.  

Ci sono canzoni che mi annodano lo stomaco - come I Lied e Go dei Boys Like Girls. 

Ci sono canzoni che con la semplice melodia e tre strofe sono capaci di ridurmi in lacrime. 
Non sono molte, è difficile che io scoppi a piangere per una canzone - Head Above Water di Avril Lavigne ha una strofa che proprio non riesco a cantare perché mi si mozza il respiro e la voce mi esce strozzata a causa delle lacrime. 


E ieri sera ho scoperto Los Angeles di Peter Bradley Adams - di cui conoscevo già qualcosa. E non so cos'abbia questa canzone in particolare - è triste, malinconica, nostalgica, si presta a tante situazioni e interpretazioni, suona come un addio. 

Come la fine di una stagione, come la fine di una vita. 

Sa di vento tra i capelli mentre guidi al tramonto e le stelle iniziano a comparire nel cielo. 

Suona come il desiderio feroce di qualcosa che non hai mai avuto, suona come la mancanza devastante di qualcosa che però non hai mai stretto tra le mani.  

E quando la sento, sento anche questo aggrovigliarsi di emozioni nello stomaco e la lacrime sono già lì che mi scorrono lungo le guance senza che neanche me ne renda conto. 

On air: Peter Bradley Adams - Los Angeles

sabato 21 settembre 2019

Non ho mai sentito di appartenere ad un posto preciso - sono nata in una città, abito in una frazione distante dal lido turistico più vicino a me appena dieci minuti di macchina e appartenente ad un comune che non ho mai sentito mio perché non ho quell'accento e non conosco quel dialetto specifico. 

A separare casa mia dal confine con il comune del paese vicino ci sono a malapena 500 metri - quello è il comune del paese dove ho frequentato asilo, elementari e medie. Dove giravo in piazza con la mia ex-migliore amica quando ero adolescente, dove c'è il cimitero in cui sono sepolti mio nonno e mio zio - quel fratello di mia madre che io non ho mai conosciuto perché è morto sei mesi prima che io nascessi. 

Il liceo l'ho frequentato in un altro paese ancora. 

La fiera di paese del mio comune di residenza non l'ho mai frequentata, andavo a quella del paese in cui ho frequentato tutti i gradi scolastici inferiori fino a quando io e E siamo state amiche e, da quando le mie amicizie si sono cementate con l'età adulta - perché forse i genitori hanno ragione quando dicono che gli amici di una vita non sono quelli che hai alle medie, ma quelli che ti fai e ti scegli crescendo - ogni anno mi presento a quella del paese in cui ho frequentato il liceo. 

Ha sempre un sapore dolceamaro: cade il secondo weekend di settembre - mese che negli anni ho imparato ad amare - e anche oggi a 30 anni mi fa tornare inevitabilmente adolescente perché la fiera coincide quasi sempre con l'inizio dell'anno scolastico. 

Quella fiera in particolare per me ha sempre il sapore della coda dell'estate e dell'inizio della stagione fredda - ha il sapore di qualcosa che finisce e di cui in qualche modo sentirò la nostalgia anche se non sopporto il caldo e le folle di turisti che discendono come cavallette nei territori che frequento, anche se poi io e le mie amiche finiamo inevitabilmente per lamentarci che poi non resta più nulla di aperto e che non c'è più nulla da fare fino alla primavera successiva quando comincerà una nuova stagione turistica. 

Una parte di me ha sempre bramato la città e l'anonimato che può offrire, ma allo stesso tempo non sopporterei di allontanarmi dal mare. 
E ogni anno mi ritrovo alla fiera - fiera di paesi che mi sono sempre andati troppo stretti e con troppi occhi addosso. Ogni anno mi ritrovo alla fiera e mi guardo intorno vedendo facce conosciute, magari facce appartenenti ad una vita o due fa e mi sento sia adulta che ragazzina. Poi arriva quel momento, quel momento in cui tutti siamo riuniti in piazza per la tombola e in quei minuti mi guardo intorno e sono felice di essere lì - forse sono gli unici minuti in cui mi sembra di appartenere a qualcosa o qualcuno. 
In realtà ci sono tante facce sconosciute e a farmi restare con i piedi per terra ci sono le mie amiche accanto a me, però in quei momenti penso ogni anno che in fondo nemmeno la vita di paese è poi tanto male alla fine. 

Poi la tombola viene vinta da qualcuno e la piazza si svuota della gente che torna a farsi i suoi giri e la sua vita e l'incantesimo si spezza - e allora io torno a sentirmi un po' alla deriva senza un posto preciso a cui io possa dire di tenere. 

Tre paesi, tre frammenti di identità e nessuno di essi più determinante di un altro.


Ci sono volte in cui mi guardo allo specchio e non mi riconosco - forse perché so cos'ho passato, forse perché quegli anni hanno lasciato cicatrici che ai miei occhi sono così evidenti che mi chiedo come nessuno possa vederle. O forse le vedono, ma fanno finta di niente per quieto vivere. 
Forse perché conosco il male che mi è stato fatto e so il male che mi sono fatta da sola, consciamente o inconsciamente, che a volte continuo a farmi perché non riesco a smettere e perché evito di rispondermi alla domanda assillante che ogni tanto mi pongo quando sembra palese che ci sia qualcosa che non vada in me. 

A me sembra di essere irrimediabilmente diversa, ma forse agli occhi degli altri non è così. Anzi, so che non è così - anche se io spesso mi sento come Dorian Gray e il suo quadro nascosto in soffitta.  
E una parte di me ne è conscia perché è ovvio che io riesca a riconoscere ancora i miei compagni di classe delle elementari e delle medie - insomma, otto anni insieme non sono pochi anche se da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. 

Però proprio perché io non riesco più a conciliare la persona che ero allora con la persona che poi sono diventata e con quella che sono oggi - per non parlare poi di tutte le maschere che ho provato ad indossare nel corso degli anni - rimango sempre sconvolta quando qualcuno mi dice che non sono affatto cambiata. 

Mercoledì stavo camminando per il paese perché avevo una commissione da fare e da lontano mi è sembrato di riconoscere uno dei miei ex-compagni di classe e mi sono stupita del fatto che sia stato lui il primo a salutarmi - forse voleva anche fermarsi a fare due chiacchiere, ma io ero di fretta. 

Eppure ho continuato a pensarci e a chiedermi come ha fatto a riconoscermi - mi sono detta che avevo gli occhiali da sole indosso, che ho i capelli lunghi come non li ho mai avuti in vita mia e che nessuno di quelli che mi conosceva all'epoca mi ha mai vista con dei capelli che non fossero lisci (prima che gli ormoni dell'adolescenza facessero spuntare le onde ereditate da mia madre) e con una lunghezza diversa da quella che mi sfiorava a malapena le spalle.

E lì ho capito che quelle cicatrici, quei cambiamenti così radicali e quella sconosciuta che spesso mi osserva di rimando dallo specchio sono cose dentro di me e che solo io vedo e che forse per loro sono ancora quella quattordicenne con cui si sono diplomati alle medie e che solo alcuni di loro hanno forse intravisto nei cinque anni successivi nei corridoi del polo scolastico superiore. 

Non so se ho mai raccontato questa storia, ma prima di NAC c'era stato quest'altro ragazzo per cui ho avuto una cotta. 
Mi hanno sempre detto che si vede quando mi piace qualcuno - evidentemente do uno spettacolo imbarazzante di me stessa quando succede. Se con tutti gli altri però era stata una continua presa in giro quando lo si veniva a sapere - e specialmente con NAC era stato un inferno - con il ragazzo che ho salutato l'altro giorno era stata tutta un'altra storia e, come sono grata a quella mia ex-compagna di classe che in quarta liceo ha fatto un gesto di gentilezza nei miei confronti che per lei era piccolo ma che per me in quel momento ha significato il mondo, sono grata anche a lui per non aver reso la situazione un circo. 

Sono grata perché dubito si trovino spesso ragazzi che cercano un momento di privacy per non umiliarti pubblicamente quando ti dicono di aver capito che hai una cotta per loro - sussurrandotelo all'orecchio addirittura perché nessuno senta - e che ascoltino davvero quando li preghi di non dire niente a nessuno. 
E lui l'ha fatto, non ha detto niente a nessuno - né quella sera né in quelle a venire. O se l'ha fatto, a me non è mai arrivata voce che avesse spifferato tutto. 
O magari semplicemente era lui il primo che non voleva essere messo in imbarazzo se si fosse saputo che avevo una cotta per lui.

È passata veramente una vita da allora, ma quella è ancora la prima cosa che mi viene in mente nelle rare occasioni in cui lo vedo o qualcuno lo nomina e ancora penso che sia stata una delle gentilezze più grandi che qualcuno abbia mai avuto nei miei confronti. 


Ieri gli Our Last Night hanno rilasciato un nuovo singolo e ne sono follemente innamorata perché, come ogni mia band preferita che si rispetti, il testo è qualcosa che mi ha presa a calci nello stomaco. 

Followed my own footsteps
Time and time again
I thought I'd never see the end
Staring at myself in the mirror
Waiting for me to change
Hoping to break a habit of repeating history

I was fighting the same battles over and over again
I was lost in the middle of the crowd
Stuck on the beaten path
Going nowhere fast [...]

I made the same mistakes
Over and over again
I thought I'd never see the end
I rode the waves in a shipwreck
Sinking into the sea
Hoping to break a habit of repeating history

On air: Our Last Night - The Beaten Path 

martedì 27 agosto 2019

Proprio non se ne esce - me ne sono resa pienamente conto oggi. 
E ho passato i dieci minuti di macchina dal lavoro a casa in parte a ridere da sola in maniera isterica, in parte incredula e in parte a bestemmiare. 

E niente, a quanto pare ho proprio un "tipo" - non si esce da lì. 
Da quando ad aprile sono rimasta folgorata e comunque ho fatto del mio meglio per ignorare la cosa perché i contro superano di gran lunga i pro e oggi l'ho rivisto dopo forse un mese e mezzo e mi sono davvero resa conto della somiglianza tra voi. 

Sia chiaro, tu non sei più nei miei pensieri e se ci capiti di sicuro non è in senso romantico - e ringraziamo il cielo per questo anche perché ciò significa che le canzoni dei Boys Like Girls sono solamente mie. 

Ma oggi... non è che è la tua copia sputata, ma i capelli e il colore degli occhi e il fisico ci sono. Anche qualcosa nel viso. E a me sembra sempre di avere il cotone al posto del cervello quando me lo ritrovo davanti.  

Ma poi niente: poi ricordo a me stessa tutti i contro e penso a qualcos'altro.  
E torno ad odiarti un po' di più perché è tutta colpa tua.  


In questi mesi di assenza è successo tutto e non è successo nulla, ho sentito la mancanza della mia musica in maniera viscerale perché sono stata senza computer da fine maggio fino a qualche settimana fa - gli Our Last Night e i Simple Plan hanno annunciato un nuovo album, gli A Day To Remember stanno prendendo una piega pop e la cosa non mi piace e ho riscoperto la mia passione per gli Angels & Airwaves e per la voce di Tom DeLonge. 

On air: Angels & Airwaves - Rebel Girl 

lunedì 29 aprile 2019

Con gli artisti che amo provo sempre cose diverse - in particolare con quelli che mi hanno accompagnata per la maggior parte della mia vita ricordo sì momenti della mia adolescenza e momenti anche dolorosi, ma ricordo pure i momenti da adulta proprio perché sono stati una presenza fissa e costante. 

E poi ci sono quelli che sì, ancora mi piacciono, ma con cui nel corso degli anni ho avuto un rapporto saltuario. 

E quando la scorsa settimana ho sentito il nuovo singolo dei Sum 41 che anticipa l'album in uscita a luglio, la voce di Deryck mi ha riportata immediatamente ai miei 14 anni - alla prima scoperta dell'album Does This Look Infected? e di canzoni come The Hell Song e Still Waiting che mi sono entrate nel sangue e non se ne sono mai andate. 

La voce di Deryck mi riporta anche alla memoria la mia ex-migliore amica perché in un periodo in cui i nostri gusti musicali stavano prendendo direzioni diverse - prima che lo facessimo anche noi - quelle canzoni dei Sum 41 erano alcune delle poche che avevamo in comune.  

E io, che mentalmente non ho mai smesso di avere 17 anni, ho accolto questa canzone con un nodo allo stomaco - con un po' la voglia di ridere e con un po' la voglia di mettermi a piangere per quegli anni che sono passati, ma che allo stesso tempo non sono passati affatto. 

On air: Sum 41 - Out For Blood 

sabato 30 marzo 2019

Stamattina mi sono svegliata con Caught in the Storm degli Our Last Night in testa.
E mentre la canticchiavo nelle ore seguenti, qualcosa nel suo testo mi ha fatto tornare in mente il sogno in cui sei apparsa stanotte - forse è stato proprio quel like old friends do a farmelo tornare in mente.  

In queste ultime settimane mi sono trovata molto a girare in macchina da sola - ovviamente sempre accompagnata dalla musica. 
E mi sono trovata a riflettere su alcune cose. 

Non ho mai problemi quando sono in macchina con qualcuna delle mie amiche ad ascoltare quello che vogliono loro, ma mi sono resa conto che quando si tratta della mia musica sono sì gelosa degli artisti che amo, ma allo stesso tempo non sopporto l'idea che qualcuno non li apprezzi - non sopporterei di stare insieme a qualcuno che non li ama nella stessa maniera (o quasi) in cui li amo io. 

La pelle d'oca che mi fa venire la voce di Ryan Key, il nodo allo stomaco che mi fa venire la voce di Martin Johnson, l'armonia creata dalle voci simili e allo stesso tempo diverse di Trevor e Matt Wentworth... 
Perché poi quando mi fisso e cado nel tunnel sono incapace di ascoltare altro anche per un mese intero. 

E per questa ragione mi sono chiesta se sono io che sono rimasta "vecchia" continuando ad ascoltare sempre le stesse voci - anche se tecnicamente gli Our Last Night sono rientrati nella mia vita solo due anni fa, ma resta il fatto che li ho scoperti nel 2008 - e non esplorando altro del mondo musicale sempre in evoluzione oppure se sono soltanto incredibilmente leale verso chi amo. 

Forse sono entrambe le cose.  

On air: Our Last Night - Caught in the Storm