sabato 21 settembre 2019

Non ho mai sentito di appartenere ad un posto preciso - sono nata in una città, abito in una frazione distante dal lido turistico più vicino a me appena dieci minuti di macchina e appartenente ad un comune che non ho mai sentito mio perché non ho quell'accento e non conosco quel dialetto specifico. 

A separare casa mia dal confine con il comune del paese vicino ci sono a malapena 500 metri - quello è il comune del paese dove ho frequentato asilo, elementari e medie. Dove giravo in piazza con la mia ex-migliore amica quando ero adolescente, dove c'è il cimitero in cui sono sepolti mio nonno e mio zio - quel fratello di mia madre che io non ho mai conosciuto perché è morto sei mesi prima che io nascessi. 

Il liceo l'ho frequentato in un altro paese ancora. 

La fiera di paese del mio comune di residenza non l'ho mai frequentata, andavo a quella del paese in cui ho frequentato tutti i gradi scolastici inferiori fino a quando io e E siamo state amiche e, da quando le mie amicizie si sono cementate con l'età adulta - perché forse i genitori hanno ragione quando dicono che gli amici di una vita non sono quelli che hai alle medie, ma quelli che ti fai e ti scegli crescendo - ogni anno mi presento a quella del paese in cui ho frequentato il liceo. 

Ha sempre un sapore dolceamaro: cade il secondo weekend di settembre - mese che negli anni ho imparato ad amare - e anche oggi a 30 anni mi fa tornare inevitabilmente adolescente perché la fiera coincide quasi sempre con l'inizio dell'anno scolastico. 

Quella fiera in particolare per me ha sempre il sapore della coda dell'estate e dell'inizio della stagione fredda - ha il sapore di qualcosa che finisce e di cui in qualche modo sentirò la nostalgia anche se non sopporto il caldo e le folle di turisti che discendono come cavallette nei territori che frequento, anche se poi io e le mie amiche finiamo inevitabilmente per lamentarci che poi non resta più nulla di aperto e che non c'è più nulla da fare fino alla primavera successiva quando comincerà una nuova stagione turistica. 

Una parte di me ha sempre bramato la città e l'anonimato che può offrire, ma allo stesso tempo non sopporterei di allontanarmi dal mare. 
E ogni anno mi ritrovo alla fiera - fiera di paesi che mi sono sempre andati troppo stretti e con troppi occhi addosso. Ogni anno mi ritrovo alla fiera e mi guardo intorno vedendo facce conosciute, magari facce appartenenti ad una vita o due fa e mi sento sia adulta che ragazzina. Poi arriva quel momento, quel momento in cui tutti siamo riuniti in piazza per la tombola e in quei minuti mi guardo intorno e sono felice di essere lì - forse sono gli unici minuti in cui mi sembra di appartenere a qualcosa o qualcuno. 
In realtà ci sono tante facce sconosciute e a farmi restare con i piedi per terra ci sono le mie amiche accanto a me, però in quei momenti penso ogni anno che in fondo nemmeno la vita di paese è poi tanto male alla fine. 

Poi la tombola viene vinta da qualcuno e la piazza si svuota della gente che torna a farsi i suoi giri e la sua vita e l'incantesimo si spezza - e allora io torno a sentirmi un po' alla deriva senza un posto preciso a cui io possa dire di tenere. 

Tre paesi, tre frammenti di identità e nessuno di essi più determinante di un altro.


Ci sono volte in cui mi guardo allo specchio e non mi riconosco - forse perché so cos'ho passato, forse perché quegli anni hanno lasciato cicatrici che ai miei occhi sono così evidenti che mi chiedo come nessuno possa vederle. O forse le vedono, ma fanno finta di niente per quieto vivere. 
Forse perché conosco il male che mi è stato fatto e so il male che mi sono fatta da sola, consciamente o inconsciamente, che a volte continuo a farmi perché non riesco a smettere e perché evito di rispondermi alla domanda assillante che ogni tanto mi pongo quando sembra palese che ci sia qualcosa che non vada in me. 

A me sembra di essere irrimediabilmente diversa, ma forse agli occhi degli altri non è così. Anzi, so che non è così - anche se io spesso mi sento come Dorian Gray e il suo quadro nascosto in soffitta.  
E una parte di me ne è conscia perché è ovvio che io riesca a riconoscere ancora i miei compagni di classe delle elementari e delle medie - insomma, otto anni insieme non sono pochi anche se da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. 

Però proprio perché io non riesco più a conciliare la persona che ero allora con la persona che poi sono diventata e con quella che sono oggi - per non parlare poi di tutte le maschere che ho provato ad indossare nel corso degli anni - rimango sempre sconvolta quando qualcuno mi dice che non sono affatto cambiata. 

Mercoledì stavo camminando per il paese perché avevo una commissione da fare e da lontano mi è sembrato di riconoscere uno dei miei ex-compagni di classe e mi sono stupita del fatto che sia stato lui il primo a salutarmi - forse voleva anche fermarsi a fare due chiacchiere, ma io ero di fretta. 

Eppure ho continuato a pensarci e a chiedermi come ha fatto a riconoscermi - mi sono detta che avevo gli occhiali da sole indosso, che ho i capelli lunghi come non li ho mai avuti in vita mia e che nessuno di quelli che mi conosceva all'epoca mi ha mai vista con dei capelli che non fossero lisci (prima che gli ormoni dell'adolescenza facessero spuntare le onde ereditate da mia madre) e con una lunghezza diversa da quella che mi sfiorava a malapena le spalle.

E lì ho capito che quelle cicatrici, quei cambiamenti così radicali e quella sconosciuta che spesso mi osserva di rimando dallo specchio sono cose dentro di me e che solo io vedo e che forse per loro sono ancora quella quattordicenne con cui si sono diplomati alle medie e che solo alcuni di loro hanno forse intravisto nei cinque anni successivi nei corridoi del polo scolastico superiore. 

Non so se ho mai raccontato questa storia, ma prima di NAC c'era stato quest'altro ragazzo per cui ho avuto una cotta. 
Mi hanno sempre detto che si vede quando mi piace qualcuno - evidentemente do uno spettacolo imbarazzante di me stessa quando succede. Se con tutti gli altri però era stata una continua presa in giro quando lo si veniva a sapere - e specialmente con NAC era stato un inferno - con il ragazzo che ho salutato l'altro giorno era stata tutta un'altra storia e, come sono grata a quella mia ex-compagna di classe che in quarta liceo ha fatto un gesto di gentilezza nei miei confronti che per lei era piccolo ma che per me in quel momento ha significato il mondo, sono grata anche a lui per non aver reso la situazione un circo. 

Sono grata perché dubito si trovino spesso ragazzi che cercano un momento di privacy per non umiliarti pubblicamente quando ti dicono di aver capito che hai una cotta per loro - sussurrandotelo all'orecchio addirittura perché nessuno senta - e che ascoltino davvero quando li preghi di non dire niente a nessuno. 
E lui l'ha fatto, non ha detto niente a nessuno - né quella sera né in quelle a venire. O se l'ha fatto, a me non è mai arrivata voce che avesse spifferato tutto. 
O magari semplicemente era lui il primo che non voleva essere messo in imbarazzo se si fosse saputo che avevo una cotta per lui.

È passata veramente una vita da allora, ma quella è ancora la prima cosa che mi viene in mente nelle rare occasioni in cui lo vedo o qualcuno lo nomina e ancora penso che sia stata una delle gentilezze più grandi che qualcuno abbia mai avuto nei miei confronti. 


Ieri gli Our Last Night hanno rilasciato un nuovo singolo e ne sono follemente innamorata perché, come ogni mia band preferita che si rispetti, il testo è qualcosa che mi ha presa a calci nello stomaco. 

Followed my own footsteps
Time and time again
I thought I'd never see the end
Staring at myself in the mirror
Waiting for me to change
Hoping to break a habit of repeating history

I was fighting the same battles over and over again
I was lost in the middle of the crowd
Stuck on the beaten path
Going nowhere fast [...]

I made the same mistakes
Over and over again
I thought I'd never see the end
I rode the waves in a shipwreck
Sinking into the sea
Hoping to break a habit of repeating history

On air: Our Last Night - The Beaten Path 

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