sabato 7 ottobre 2017

Quando avevo diciotto anni ed ero arrivata a toccare davvero il fondo, una delle canzoni che ascoltavo più spesso era Iris dei Goo Goo Dolls. 

Ricordo quel maggio 2007 quasi come se fosse ieri, quasi come se fosse appena accaduto - quasi come se lo stessi vivendo in questo momento. 

E ricordo che era stata una giornata di quelle completamente da dimenticare, che era sera ed ero seduta al tavolo del salotto con il mio diario cartaceo aperto davanti a me. 
E forse volevo andare a dormire ma allo stesso tempo lo temevo, ero stressata perché a scuola ancora non ci davano tregua tra compiti e interrogazioni e io litigavo furiosamente con fisica e filosofia e intanto cercavo di incastrare i quiz per la patente e le guide con mio padre e con l'istruttore nel poco tempo a mia disposizione. 
Senza parlare di tutto quello che succedeva a livello interpersonale e di amicizie oppure con i miei genitori. 

Ricordo quel maggio 2007 per le lacrime che non smettevo di versare, per il sonno che mi negavo, per le parole che non pronunciavo, per le urla che mi raschiavano la gola tentando di uscire, per tutto l'alcol che mandavo giù come se fosse stato acqua tanto che una mattina sono andata addirittura a scuola con i postumi di una sbronza, per tutto il sangue che ho versato lacerandomi la pelle di un polso con una lametta. 

Ricordo quella sera di maggio 2007 con me seduta al tavolo e davanti il mio diario cartaceo, alla fine di una giornata - l'ennesima - che mi aveva devastata e con ancora la cicatrice della ferita che mi ero fatta con l'unghia del pollice - la prima, la più dolorosa, la più soddisfacente - e tante linee rosse fatte con la lametta a farle compagnia. 

E ascoltavo Iris dei Goo Goo Dolls tra le altre. 
E ricordo di aver scritto chiaramente - sia sul blog su Splinder che avevo all'epoca sia sul diario cartaceo - uno dei suoi versi perché era una delle poche cose che mi ancorava alla realtà. 

Yeah, you bleed just to know you're alive

Una realtà che comunque non volevo e quindi diventava un circolo vizioso senza che io riuscissi a spezzarlo. 

Tagliarmi per sanguinare era l'unica cosa che mi facesse sentire viva, che mi svegliasse da quel torpore che mi avvolgeva.
Ma rendere fisico quel dolore lancinante che sentivo dentro allo stesso tempo mi intorpidiva abbastanza da permettermi di staccare la mente da quello che stava accadendo. 

Volevo la prova di essere viva, ma non volevo essere viva.


Iris dei Goo Goo Dolls non è mai stata una di quelle canzoni che ho abbandonato per strada nel corso degli anni, a differenza di altre canzoni oppure di altre band. 
Quella particolare frase mi farà sempre effetto, mi farà sempre venire i brividi, per me sarà sempre vera - prova inconfutabile di quanto io sia malata, di quanto io ancora sappia pensare in quella maniera anche se ora sono più brava a frenarmi.

Eppure l'altro giorno l'ho riascoltata mentre ero in macchina e stavolta sono stata colpita dai due versi precedenti della strofa - l'unica strofa che per me abbia mai significato qualcosa. 
Ed è stato come sentirli per la prima volta. 

And you can't fight the tears that ain't coming
Or the moment of truth in your lies

E ho pensato alle lacrime che non riesco più a versare - non che comunque io lo permetta a me stessa - e mi sono seriamente chiesta se ci siano ancora momenti di verità nelle mie bugie. 

Non ho saputo rispondermi. 


Ieri mi è capitato di sentirmi dire nuovamente da una persona come e quanto si ricordasse bene di me a scuola nonostante fossero passati dieci anni e questa cosa non smetterà mai di gettarmi nel panico perché l'unica versione di me che riesco a farmi davanti non è neanche più la quindicenne colta da un attacco di panico perché circondata dai bulli sull'autobus e neanche quella diciannovenne che poi ha alzato un muro ed è uscita dal liceo come quasi una persona normale in apparenza, ma quella diciottenne autolesionista dipendente da una lametta e con troppo alcol in circolo. 
Quella diciottenne insonne e spezzata che ogni mattina doveva trovare uno straccio di motivo per alzarsi dal letto, fosse anche solo il pensiero del sollievo che le avrebbe dato la lametta in caso di necessità. 

Io vedo quella diciottenne in giro per i corridoi della scuola la mattina mentre si dirige in classe o alla fine delle lezioni - per me non esistono altre versioni. 
Non esistono versioni di una me stessa migliore o più stabile che gli altri possano ricordare con il sorriso sulle labbra, trattandomi come se fosse stata un'abitudine o la normalità vedermi senza prendermi in giro oppure chiedersi quale cazzo fosse il mio problema

Quando mi dicono di ricordarsi di me a scuola, io ricordo quella diciottenne che una parte ancora malata della mia anima e della mia testa non hanno mai smesso di essere - bloccata in quei 365 giorni tra un compleanno e l'altro come se il tempo non fosse mai passato e si fosse cristallizzato.
Gli anni di inferno sono stati due - da poco prima dei diciassette al compimento dei diciannove, ma i diciotto anni sono stati i peggiori. 

E forse ancora una volta il problema sono io - forse dove io vedevo solo sangue e cicatrici e alcol e lacrime, gli altri vedevano qualcosa di diverso. 
Forse gli altri vedevano stabilità e normalità mentre io mi sentivo mancare la terra sotto i piedi ad ogni respiro che maledicevo. 

Forse gli altri ricordano una persona che non sono mai stata. 
Forse mi piacerebbe conoscere la persona che si ricordano di aver visto passare in quei corridoi. 

On air: Vancouver Sleep Clinic - Someone to Stay

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