lunedì 15 gennaio 2018

Da un po' di tempo pensavo di scrivere, ma mi è sempre mancata la voglia. 
Ho pensato a diverse cose che avrei potuto mettere nero su bianco, ma con il passare dei giorni le ho dimenticate oppure si sono offuscate - o forse la matassa confusa di mormorii nella mia mente non si è mai sbrogliata.  


Uno dei miei punti deboli è sempre stato il bisogno di appartenenza - un bisogno così viscerale che a volte è capace di togliermi il respiro dai polmoni. 

Il mese scorso mi sono trovata ad una cena e si può quasi dire che mi trovassi nel centro della tavolata, ma c'era sempre quella nota stonata che trillava nelle mie orecchie - nelle mie viscere. 
Mondi che cozzavano tra loro, mondi che forse in qualche modo si sono incontrati grazie alla mia persona in comune con entrambi, mondi che forse non si amalgameranno mai del tutto ma che sanno convivere. 
E io sento di non appartenere a nessuno dei due. 

Ero seduta nel mezzo e osservavo le persone attorno a me e ascoltavo le conversazioni che stavano avvenendo e non ho potuto fare a meno di sentire quella nota dissonante - e forse quella nota dissonante sono io, sono io che non sono in armonia con il resto del mondo. 
Provo sempre quella sensazione di estraneità in mezzo alle persone - persone che si conoscono da una vita, persone che hanno in comune un passato, persone che hanno alle spalle molti più momenti di quanti ne abbiano mai avuti con me. 

E io stavo lì, annuivo, forse sorridevo e dentro sentivo il suono del vuoto. 
O forse sentivo il suono della mia voce che urlava - forse è proprio quella la nota dissonante, forse è la mia voce che urla. 

Invidiosa di amicizie che durano da una vita, invidiosa di confidenze di cui io non sono stata fatta partecipe, invidiosa di rapporti che io non sono stata capace di tenermi o forse addirittura di costruire. 

Forse la nota dissonante non è la mia voce che urla, ma la mia invidia. 

In occasioni come queste ero solita sentire la tua mancanza come l'aria, ora ho smesso di farlo. 
Oppure forse una parte di me non ha smesso, ma la maggior parte della mia persona ha smesso di pensare a te come a qualcuno che avrebbe potuto affermare di conoscermi da tutta la vita - perché non più così da dodici anni. 
Perché non ha più senso.

Nessuno lo può affermare - forse nel mio caso nessuno lo ha mai potuto fare. 

Tutti hanno visto solo pezzi di me prima che io cominciassi a nascondere anche quelli. 
Forse la nota dissonante non è la mia voce che urla e non è neanche la mia invidia - forse è che manca proprio qualcosa che possa suonare un'armonia. 

Forse non è neanche più la tua mancanza in particolare che sento perché negli ultimi tempi non eri più la stessa persona, forse semplicemente sento la mancanza di qualcuno - qualcuno che sappia guardarmi e possa dire di conoscermi, quel qualcuno che sembrano avere tutti gli altri in quei due mondi che a volte si scontrano. 
Mondi per i quali io faccio da collante, ma ai quali non appartengo davvero.

E forse la nota dissonante è proprio il mio bisogno di appartenere a qualcosa, un bisogno che provo a colmare sin da quando ero solo una bambina ma che mi rimanda indietro ancora l'eco del vuoto. 


Non sono nuova alle ossessioni, le mie sono sempre le stesse da anni e si danno il cambio a seconda della necessità. 
Divento ossessionata da film e serie televisive e libri e mi riempio la testa con tutte le loro immagini e le loro parole così che non resti spazio per nient'altro - e io ho parecchie cose che non voglio far entrare nella mia testa. 
Mi stordisco di film e serie televisive e libri, ne divento dipendente, ne faccio una malattia per tenermi occupata - se sono ossessionata da una storia non ho tempo per pensare alla mia. 
Non mi concedo pause tra uno e l'altro perché potrebbe essere fatale: potrei ricominciare a pensare, potrei forse perdere le staffe, potrei urlare, potrei dire cattiverie, potrei riprendere in mano la lametta - ed è già difficile com'è adesso riuscire ad uscire di casa a volte. 

Mi rinchiudo tra le mie ossessioni, mi anestetizzo, ma mi sento un animale in gabbia. 
E alla fine, quando a volte esco dalla gabbia, non vedo l'ora di tornarci perché tra le mie ossessioni mi sento al sicuro. 
Perché non sono solo le persone a farmi paura, a farmi più paura di tutto sono io con quello che potrei pensare o che potrei fare oppure che potrei dire.  

On air: Andrew McMahon in the Wilderness - Love and Great Buildings 

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