mercoledì 19 luglio 2017

Nell'estate del 2004 avevo un'abitudine: per me era impossibile andare a dormire senza ascoltare musica. 
E non avevo ancora un lettore mp3 all'epoca, quindi usavo il mio lettore CD portatile. 

Inizialmente era una cosa solo estiva. 

Era l'estate dei miei 15 anni ed ero nel mio periodo di onnipotenza, ma era anche l'estate dopo il mio primo anno di liceo - era l'estate in cui avevo ricominciato a scrivere su un diario, era l'estate in cui ero ossessionata dall'album Under My Skin di Avril Lavigne perché mi descriveva alla perfezione, era l'estate in cui avevo cominciato a prendere effettivamente coscienza del bullismo delle medie e dell'attacco di panico di qualche mese prima, era l'estate dei miei primi soldi guadagnati facendo la baby-sitter, era l'estate in cui la morte di mio nonno avvenuta il novembre precedente aveva cominciato a sembrarmi reale per la prima volta tanto da permettermi finalmente di piangerlo. 

Era l'estate in cui la musica ha cominciato ad essere davvero una parte di me. 

In estate, di notte, ho sempre amato lasciare la finestra aperta e ascoltare i rumori della vita lontana: il mio preferito, oltre al frusciare delle foglie sugli alberi, è sempre stato quello dello sfrecciare di una motocicletta. 
Rimanevo - rimango ancora - sdraiata ad ascoltare in attesa di addormentarmi e, quando lo sentivo, immaginavo una vita che non era mia ma che avrei voluto: immaginavo risate, divertimento, feste, amicizia, amore.
Il tutto concentrato nel rumore di una moto di passaggio. 

Ma quell'estate era diversa, tutti i rumori notturni mi rendevano irrequieta e solo ascoltare musica riusciva a calmarmi e sì, mi faceva pensare anche troppo, ma metteva anche in ordine tutti quei pensieri confusi che minacciavano di soffocarmi. 

Per un paio di anni è andata avanti solo d'estate, ma dal 2012 in poi è diventato qualcosa di cui sentivo il bisogno anche in inverno oppure in altri momenti dell'anno. 
Ho perso il conto di quanti auricolari ho rotto perché magari, girandomi nel sonno, tiravo inavvertitamente i fili delle cuffie e poi da una parte non usciva più il suono. 

Però era qualcosa che mi aiutava: all'inizio la musica portava in superficie pensieri anche scomodi o riflessioni che non ero pronta a fare, ma piano piano mi cullava nel sonno nel momento in cui il "nodo" si scioglieva e io mi rilassavo. 
Nel momento in cui mi concentravo solo sulle parole del testo, era questione di istanti e dormivo. 
E c'era qualcosa di confortante nello svegliarsi ad un certo punto della notte e sentire una canzone nelle orecchie, anche se solo con un auricolare perché magari l'altro l'avevo perso nel frattempo. 

È un po' che non lo faccio - un po' perché non posso comprarmi un paio di auricolari ogni sei mesi e un po' perché la notte non sono più così irrequieta. 
Però ci sono notti in cui non riesco a calmarmi e nessuno dei miei trucchi per addormentarmi funziona, quindi sento la mancanza della musica nelle orecchie come se mi mancasse l'aria nei polmoni. 

On air: Grant Gustin - Runnin' Home To You

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