domenica 15 gennaio 2017

Negli anni duranti i quali la gente scomoda era nascosta in ogni angolo, io ero sempre in allerta. 
Mia madre mi ripeteva spesso che ero paranoica e che mi immaginavo le cose, che non tutti quelli che lanciavano un'occhiata nella mia direzione mi stavano prendendo in giro in quel momento o mi stavano guardando male. 

Ma io avevo l'occhio allenato. 
Controllavo sempre le persone che erano nelle mie vicinanze e consideravo tutte le possibili vie di fuga in caso di necessità, facevo piani nella mia testa per riuscire a togliermi da un'eventuale situazione che mi avrebbe procurato un attacco d'ansia. 

E non avevo solo l'occhio allenato, ma anche le orecchie. 
Cercavo di capire la natura delle conversazioni che avvenivano attorno a me, cercavo di cogliere le sfumature, cercavo di abbinarle e dare loro un senso con quello che intanto vedevo. 

E forse sì, ero paranoica. 
Ero sempre in allarme, sempre pronta a scattare. 
Ma c'erano cose che io vedevo e che gli altri non notavano, segnali che coglievo e che mi permettevano di nascondermi - fisicamente e se non potevo farlo fisicamente, almeno mentalmente. 
Dopo anni di osservazione vedevo i segnali nel linguaggio del corpo di chi mi stava attorno e sapevo prevedere in che modo i successivi cinque minuti si sarebbero svolti e più di una volta mi sono sentita dire che, alla fine, avevo ragione. 

La mia paranoia mi ha risparmiato tante cose. 


Scrivo sempre - e scrivevo anche anni fa - che ho smesso di parlare. 
Prima le piccole cose, poi quelle più grandi e infine tutto - o quasi. 

Quando ho ripreso a parlare verso la fine di quei due anni infernali, ho continuato a tacere su tutto quello che era personale e ho lasciato trasparire solo la parte più superficiale della mia personalità. 
O perlomeno ho lasciato trasparire quella della personalità che indossavo in quel particolare momento. 

Non parlavo - o comunque parlavo poco, molto meno di prima - ma ancora ascoltavo. 
In fondo, ascoltare qualsiasi conversazione attorno a me faceva parte della mia natura paranoica. 


La storia tende a ripetersi - almeno così dicono. 
Almeno così io ho sperimentato sulla mia pelle. 

E sì, la storia tende a ripetersi. 
Ma se i grandi eventi tendono a restare immutati e a portare lo stesso caos delle volte precedenti con sé, sono sempre i piccoli dettagli a cambiare. 


La paranoia causa uno stato di stress non indifferente perché anche nei periodi di tranquillità io non abbasso mai comunque la guardia. 
La paranoia mi permette di cogliere i segnali e i segnali li ho visti arrivare da lontano - cosa che non ero riuscita a fare la prima volta. 


Ho smesso di parlare, come la prima volta. 
Ma forse questa volta sono così stanca che persino la mia paranoia ha deciso di andarsene in vacanza e ho smesso di ascoltare. 
E non ho smesso di ascoltare solo gli estranei e la gente incontrata per caso con il timore di cogliere qualcosa che potrebbe mettermi in allarme, ma ho smesso di ascoltare anche chi mi sta accanto. 

Quando mi era impossibile fuggire fisicamente, fuggivo con la mente - mi alienavo nei miei pensieri ed emergevo di nuovo quando qualcosa mi diceva che la situazione in quel momento era sicura. 
All'epoca era solo istinto di sopravvivenza. 

Successivamente è diventato apatia e poi è diventato noia. 

Ora forse è un misto di tutte e tre le cose con un pizzico di qualcosa non ancora ben identificato, ma mi rendo conto che perdo intere conversazioni perché mi estraneo dalle persone e non ricordo proprio che una determinata cosa sia stata detta perché non mi sono presa il disturbo o la voglia o la forza di ascoltare. 

Ogni tanto mi rendo conto che rispondo a monosillabi a cose che non ho nemmeno sentito. 

On air: Deptford Goth - Feel Real 

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