martedì 20 settembre 2016

Ho sempre rifiutato l'idea che tu e tua sorella poteste avere ragione e io torto. 
In fondo ero io la "vittima", ero io quella ferita. 
Era qualcosa che, nello stato in cui ero e in cui poi sono rimasta, non potevo accettare. 

Che ancora non riesco ad accettare sebbene i dubbi ci siano sempre stati e in alcuni momenti mormorassero più forte che in altri. 
Ma li ho sempre messi a tacere perché non potevo permettermi di dubitare, non potevo concedermi il "lusso" di fermarmi perché altrimenti sapevo che non sarei più tornata indietro. 
E a malapena c'ero in quei due anni. 

Non potevo accettare di essere io la cattiva della situazione, non poteva essere così. 
Ma forse invece lo era, forse ero davvero io la cattiva. 

Mi guardo intorno e mi rendo conto che le mie reazioni non sono normali, che c'è davvero qualcosa che non va in me e nel modo in cui affronto le situazioni. 

Era stata la cattiveria subita negli anni precedenti a corrodermi oppure sono sempre stata una persona orribile e quell'estate in qualche modo è capitato che tu sia riuscita a portare alla luce tutto lo schifo annidato negli angoli? 
Sono diventata cattiva oppure lo sono sempre stata? 

Dieci anni sembrano tanti, è vero. 
Dieci anni sono effettivamente tanti e io li sento pesare sulle spalle. 

Come dieci anni fa mio padre mi ha detto qualcosa - questa volta involontariamente - che mi fa rendere conscia di ogni mio respiro quando sono in mezzo alla gente. 
Come dieci anni fa ho smesso di sorridere. 
Come dieci anni fa ho smesso di parlare, ma questa volta l'ho fatto prima di dire qualcosa di cui mi sarei pentita. 

E va bene il ripetersi degli stessi eventi, ma una replica esatta non la voglio. 

E continuo a ripensare a quell'estate, a tutte quelle parole e a quegli scatti di rabbia e alle crisi di pianto che stavolta sono in grado di non avere e penso che forse tu e tua sorella avevate ragione. 

Ho detto a me stessa e agli altri che era stata colpa tua, ma la verità è che forse la causa di tutto sono stata io - io che non riesco ad essere una persona normale con reazioni normali. 
E forse adesso posso dirlo almeno a me stessa e accettarne le conseguenze: è stata colpa mia. 
È stata mia la  colpa di quello che è successo e sempre mia è stata la colpa di tutto quello che è venuto dopo e se ho avuto due anni di inferno nei quali ero viva a malapena ho solo me stessa da biasimare. 

Vorrei dirti che avevi ragione e che l'hai sempre avuta. 
E che continui ad averla. 

Sento le persone attorno a me parlare e dire frasi del tipo "ah, ma non ha più l'età per fare questo" e "ah, ma non è più una ragazzina che può permettersi di fare quello" e io mi sento smarrita. 
A volte ho l'impressione che gente più piccola di me abbia vissuto il doppio di quanto ho fatto io e lo stesso provo soltanto l'impulso di nascondermi e non uscire più di casa. 

A volte voglio quello che hanno gli altri ma poi mi viene un attacco di panico al solo pensiero. 
E ho 27 anni, ma continuo a sentirmi come una diciassettenne che vorrebbe avere 15 anni e ricominciare da capo.
E intanto continuo a pensare che in fondo avevi ragione e che mi sono meritata tutto quello che poi mi è capitato e che continua a capitare perché non ho mai imparato davvero la lezione. 

Era un test e l'ho fallito - e continuo a farlo. 

In quei due anni, passato lo shock iniziale e giunto il momento nel quale ho riacquistato un paio di neuroni necessari per rendermi conto che dovevo cominciare a recitare il ruolo della persona che sapeva stare in mezzo agli altri senza fare una scenata o cacciare un urlo di rabbia oppure scoppiare in lacrime, ho allenato me stessa nell'arte del deflettere. 

Ci ho messo un po' nel trovare il giusto equilibrio tra il dare una risposta che fosse soddisfacente per chi mi stava di fronte ma che non rivelasse nulla di me e di come stavo e il trovare contemporaneamente un modo per spostare la conversazione su binari sicuri e lontani dalla verità, facendo in modo che non si tornasse sull'argomento di prima. 
Erano comunque poche le persone che avevano bisogno di questo trattamento, poche quelle che sapevano cosa mi aveva destabilizzata - e a volte lo facevo per evitare malignità e molto spesso lo facevo per evitare la pena con cui mi avrebbero guardata. 

Era solo Eleonora in fondo quella di cui mi dovevo preoccupare, quella che doveva essere tenuta all'oscuro e lontana da quello che mi passava davvero per la testa e da quello che cacciavo in un angolo ogni giorno ma con lei era anche abbastanza semplice: conoscevo il tipo e sapevo come pilotare la conversazione perché andasse nella direzione che volevo io ovvero il più lontano possibile dal mio reale stato d'animo - chissà, forse tra egocentriche ci si riconosce. 
Era facile manipolare Eleonora una volta trovato il giusto equilibrio nel mio deflettere e con la conoscenza che avevo di lei da anni, ma io non ho mai avuto il suo stesso tipo di egocentrismo - io evitavo a tutti i costi di parlare di me e lei invece non vedeva l'ora di raccontare tutto di sé. 
E chi ero io per impedirle di farlo e di occupare tutta la conversazione con lei e la sua vita come unico argomento? 

E quando deflettere non bastava perché magari conoscevo appena la persona che avevo di fronte oppure non ero capace di inquadrarla abbastanza in fretta da essere in grado di capire come pilotare la conversazione, sono passata alle menzogne. 
Rapide, dette senza neanche pensarci e assolutamente indolori - per me e per chi mi stava di fronte. 

E quando deflettere e le menzogne si sono rivelati insufficienti, sono passata al silenzio e mi rendo conto che questo è stato il mio modus operandi degli ultimi anni. 
E ho sbagliato perché mi sono lasciata troppo andare, ho mollato le redini del controllo con quelle persone che mi stavano intorno e ho perso la capacità di deflettere rapidamente e le pause tra una frase e l'altra mentre penso a che risposta posso dare si fanno più pesanti. 

Le bugie riesco ancora a dirle allo stesso modo, però non trovo più il mio costume di scena di qualche anno fa e a volte mi sento in colpa nel mentire a chi mi sta vicino, ma senza quel costume non riesco più ad entrare nel personaggio che ho interpretato per tanti anni prima di scendere dal palcoscenico. 
E invece sul palcoscenico avrei dovuto restarci e avrei dovuto continuare quel dannato monologo fino alla fine di ogni cosa. 

Non riesco più a deflettere in fretta come un tempo, a volte le menzogne e le omissioni mi creano sensi di colpa che però riesco ancora ad ignorare e così mi resta solo l'arma del silenzio. 
E caspita, se in questo sono ancora eccezionale. 

Evito i contatti e tengo la bocca chiusa per non lasciarmi sfuggire nulla e forse è questo che ho imparato da quel disastro di dieci anni fa: forse sarò anche una persona orribile e cattiva, ma se sto zitta e non dico niente ed evito qualsiasi situazione che possa portare tutto a galla allora non potranno dirmi che è colpa mia perché non avrò fatto assolutamente niente. 

On air: Brad Paisley - You'll Never Leave Harlan Alive 

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