Lunedì sera, dopo essermi struccata, mi stavo sciacquando il viso quando le ho viste.
Dipende molto dal tipo di luce presente nella stanza e dal modo in cui mi colpisce, ma non ho potuto fare a meno di ignorare le gocce d'acqua ancora sulla mia pelle per restare ad osservare quelle linee così evidenti sul polso.
Linee ancora rossastre, una sfumatura appena più scura del resto della mia carnagione, e linee bianche quasi splendenti.
Tutte quelle linee così in mostra, che mi davano la sensazione che chiunque - entrando in bagno in quel momento - avrebbe potuto vedere.
Piccoli segni rossi per la pelle dove la lametta preme la prima volta per iniziare a tagliare.
Linee bianche per le mie zone preferite, per quei millimetri di epidermide dove la lametta passa più volte - più volte nella stessa notte o più volte nel corso dei mesi.
Ho cambiato luce in bagno e improvvisamente sono sparite.
Ho acceso la luce al neon attaccata allo specchio e l'unica cosa che riuscivo a vedere era quanto fosse bianca la mia pelle da sembrare quasi fosforescente e l'azzurro delle vene.
L'azzurro di quelle vene che dentro accolgono tutto quel sangue vermiglio con il quale io sporco sempre il mio polso.
Ho spento il neon e ho riacceso la luce calda che viene dalla lampadina sul soffitto e tutti quei segni sono tornati, quei segni che non mi abbandonano mai.
Sono mesi che non lo faccio, forse per la prima volta ho perso il conto delle settimane che sono passate da quando mi definisco - per l'ennesima volta - "pulita".
Osservavo quelle linee, le ripercorrevo con un dito e non nego che volevo riaprire quelle cicatrici - non smetterò mai di avere queste voglie sbagliate anche quando non c'è un motivo "valido".
E poi sembra una cosa fatta apposta.
Qualche ora più tardi stavo guardando in salotto con i miei genitori il secondo episodio di Motive e la vittima era in una vasca da bagno con i polsi tagliati.
Era un omicidio messo in scena come un suicidio e quando hanno sollevato un braccio della vittima e ho visto i tagli correre da una parte all'altra del polso, mi è letteralmente mancato il fiato dai polmoni.
E allo stesso tempo ho sentito gli occhi di mia madre bruciarmi sulla schiena.
Normalmente sono in grado di resistere - bramo così tanto il controllo anche per questo motivo.
Ma ci sono quei periodi - quei periodi in cui sono completamente sfasata, quei periodi in cui passo da un umore all'altro con uno schiocco di dita, quei periodi in cui tento di allontanare tutti e mi rinchiudo ancora di più in me stessa perché non sopporto nemmeno di essere guardata e non voglio vedere nessuno - che mi fanno vacillare e vorrei soltanto cedere.
Cedere a tutto, comprese le cose che sussurrano maligne certe notti nel silenzio della mia stanza.
Ci sono stati inverni molto più rigidi di questo e in certi giorni, nel tardo pomeriggio e ora che le giornate si sono allungate, posso quasi sentire l'odore della primavera.
E adoro il mio cappotto rosso, ma non vedo l'ora di smettere di indossarlo e di poter passare al giubbotto leggero.
E passare al giubbotto leggero significa anche che siamo a marzo, che il mio pub preferito ha finalmente riaperto per l'inizio della stagione turistica e anche se forse fa ancora un po' freddino, io e le mie amiche siamo comunque già più contente - per noi l'estate comincia già a fine marzo.
Non c'è niente come la sensazione di girare in macchina per il Lido ancora deserto, vedere il pub aperto e fiondarcisi dentro - un posto dove ormai siamo di casa da anni e nel quale siamo sempre le prime a salutare i proprietari a marzo e le ultime ad uscire a fine settembre.
Ho bisogno della primavera.
Ho bisogno della primavera, ma non nego che in questo momento il rumore della pioggia contro le tegole del tetto fuori dalla mia finestra è uno dei suoni più rilassanti che sento dopo tanto tempo.
On air: William Fitzsimmons - Ever Could
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