lunedì 21 dicembre 2015

Il libro numero 49 della mia Reading Challenge è stato Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry. 

Sebbene sia presente in casa mia da più di dieci anni, la settimana scorsa è stata la prima volta che l'ho letto perché ricordo benissimo che quando avevo letto la storia dell'autore prima che iniziasse il libro vero e proprio e avevo scoperto che era morto nella Seconda Guerra Mondiale, mi ero presa malissimo e non ho più voluto toccarlo.

Ogni tanto mi è capitato di scrivere che a volte serve un momento specifico per leggere un determinato libro. 
So che High Fidelity di Nick Hornby non mi avrebbe fatto lo stesso effetto se l'avessi letto appena l'ho comprato, esattamente come leggere The Fault In Our Stars di John Green appena dopo la scomparsa di Cico mi ha aiutata a stare un po' meglio. 

Probabilmente Il Piccolo Principe è un libro che avrei dovuto leggere da piccola, quando ancora ero una bambina e credevo che tutto fosse possibile. 
Ora sono come quegli adulti additati nel libro che non hanno più immaginazione. 

Probabilmente l'adulta che sono ora è troppo cinica per cogliere il senso vero e proprio della storia, sebbene sia vero che c'è una parte di me che si crede Peter Pan e si rifiuta di crescere.  

Il Piccolo Principe è arrivato in casa mia tramite la mia zia di Bergamo, quando un anno ci ha portato giù questo scatolone di libri che Lara non leggeva più e che loro non sapevano dove mettere. 
E tra quei libri c'era anche la mia prima copia di Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen e sul serio, la quantità di copie che possiedo di quel romanzo è quasi imbarazzante. 
Avevo forse dodici anni, magari tredici e Orgoglio e Pregiudizio è stato il primo libro di cui mi sono innamorata. 

Sebbene io abbia iniziato Il Piccolo Principe giovedì mattina e sia piuttosto corto come libro, l'ho finito solamente ieri notte.
La storia non riusciva a prendermi e sul serio, l'ho ritenuto altamente sopravvalutato. 

Perlomeno fino a quando non sono arrivata a questo punto: 

«..Tu, tu avrai delle stelle come nessuno ha...»
«Che cosa vuoi dire?»
«Quando tu guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io riderò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere!»
E rise ancora. 
«E quando ti sarai consolato (ci si consola sempre), sarai contento di avermi conosciuto. Sarai sempre il mio amico. Avrai voglia di ridere con me. E aprirai a volte la finestra, così per il piacere... E i tuoi amici saranno stupiti di vederti ridere guardando il cielo. Allora tu dirai: "Sì, le stelle mi fanno sempre ridere!" e ti crederanno pazzo. T'avrò fatto un brutto scherzo...» 
E rise ancora.
«Sarà come se t'avessi dato, invece delle stelle, mucchi di sonagli che sanno ridere...»

E niente, sono scoppiata a piangere come una dannata ragazzina. 
E so anche perché. 

Perché quel pezzo di storia ha toccato quelle corde che lascio vengano toccate solo due volte l'anno. 
Perché tutto quel pezzo sulle stelle e su come il guardarle avrebbe ricordato al narratore il piccolo principe era fin troppo simile al mio alzare lo sguardo al cielo in agosto e pensare a mio nonno quando vedo una stella cadente. 
Al pensare ingenuamente che sia lui che ricambia il mio saluto.

E io ero sdraiata sul mio letto all'una di notte a singhiozzare come una disperata cercando di non farmi sentire.
Ultimamente non ho proprio nessuna sorta di controllo sulle mie lacrime. 

On air: Placebo - Running Up That Hill

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