sabato 7 novembre 2015

Lo scorso sabato sera, prima di uscire, ho visto il terzo season finale di Elementary su Rai Due.
E Sherlock, dopo essere stato messo sotto pressione a causa del rapimento del suo amico e a dura prova da un suo ex-amico tossico - lo stesso che gli ha rapito l'amico attuale - alla fine cede e ricomincia a drogarsi.

E quanto speravo io che non avrebbe ricominciato.

E quanto sono ingenua a pensare e sperare queste cose perché io stessa, presa dalla "giusta" combinazione di fattori, non riuscirei a resistere davanti a qualcuno che mi offre una lametta.

L'altro giorno ho visto sulla credenza un pacchetto di lamette che mio padre doveva portare in bagno perché là non ne aveva più per radersi.
L'ho visto e la mia mano destra ha avuto un fremito e mi si è contratto lo stomaco.
Tutta la pelle che potevo tagliare con quelle lamette.

Ma ho resistito.
Volevo intascarmele, ma ho resistito.

Ho sempre scritto che io posso essere considerata alla stessa stregua di una drogata.

Sono in perenne riabilitazione e vedere una lametta per me è l'equivalente dell'offerta di una dose.
La lametta è la mia droga da quando avevo diciotto anni.

Ogni giorno è una lotta, ogni situazione che mi mette sotto stress mi fa venire voglia di tagliarmi.
Anche un singolo graffio fatto accidentalmente sul lavoro - una singola linea all'interno dell'avambraccio causata da un'anta di un armadietto aperta - mi fa venire voglia di aggiungerne altre.

Ma nessuno mi dà una medaglia per quando raggiungo il traguardo dei tot mesi "pulita" - anche perché comunque non credo che esista una Autolesionisti Anonimi.


Novembre è un mese problematico per me.
Rifiuto così tanto l'idea di novembre che non ho ancora girato il mese del calendario in camera mia.
Continuo a dimenticarmene, me ne ricordo quando sono già fuori casa e quando torno, poi girare quel maledetto foglio che mi sbatte in faccia che siamo nel mese più infernale di tutti è davvero l'ultimo dei miei pensieri.
Probabilmente il mio inconscio fa apposta a farmelo dimenticare.

Come ho scritto l'ultima volta, negare sempre.
Negare anche davanti all'evidenza.

Un paio di settimane fa io e mio padre abbiamo portato Alaska a fare le vaccinazioni e ha stabilito che è molto più piccola di quello che pensavamo e che a quanto pare è nata in questo mese un anno fa.

Cico aveva il suo compleanno, l'avevo scelto a metà agosto - a me piacciono i numeri che finiscono in cinque e zero e cosa c'era di più perfetto della metà del mese e a soli due giorni di distanza da quello di mio nonno?

Con Alaska però quando è stato il momento di scegliere una data, le cose si sono parecchio complicate.
Non ho voluto il 10 e il 13 perché sono legati a brutti giorni della mia adolescenza - e il 13 in particolar modo è stato il giorno in cui ho avuto un crollo nervoso a scuola e sono andata a nascondermi nello spogliatoio in palestra.
Il 13 novembre è anche il giorno che, negli anni a seguire, ho battezzato come la morte della persona che ero e al cui funerale non si è presentato nessuno.
Elisa quel giorno non era presente a scuola e questo ha contribuito a lasciarmi più vulnerabile, senza nessuno che mi potesse coprire le spalle.

Credo sia stato proprio quello il giorno in cui ho smesso di parlare per la prima volta.
Ricordo le mie compagne di classe - le mie presunte "amiche" - che mi chiedevano di parlare e come potevano loro aiutarmi se io non dicevo qual'era il problema?
Come spiegare che il mio problema erano loro?

E così stavo in silenzio, soffocando quei singhiozzi e quelle urla che minacciavano di uscire ad ogni respiro.

Ho continuato a non parlare per tutto il resto delle mattina fino a quando il compagno di classe per il quale avevo una cotta all'epoca e che era seduto dietro di me non mi ha chiamata e fatta girare, mi ha guardata fisso negli occhi - cosa che quel giorno non avevo permesso a nessun altro di fare - e mi ha chiesto: "Sono state quelle stronze di ********* e di *****, vero?"
E quando ho a malapena sussurrato un "Come fai a saperlo?", lui mi ha risposto con un "Si vede come ti trattano."
Alla faccia di quelli che dicono che gli uomini non si accorgono di niente.

E mi ha spiazzata così tanto non perché era il ragazzo che mi piaceva a dirmelo, ma perché per come mi trattavano tutti i giorni era quasi come se fossi invisibile.
Potevo essere di fianco a loro e sarebbe stato come se non fossi mai stata presente, potevo parlare ma sarebbe stato come se le mie parole non avessero avuto alcun suono tanto mi ignoravano.
E io ero arrivata al limite e l'avevo anche sorpassato da un pezzo.

Quelle due frasi pronunciate da ****** mi hanno spiazzata perché mi hanno dato la prova che non era frutto della mia immaginazione o della mia tendenza al melodramma o della mia angoscia adolescenziale.
Era vero, era reale.

Era vero che tutti correvano da me quando avevano bisogno di copiare i compiti, che andavano a frugare nel mio zaino alla ricerca dei libri e dei quaderni interessati, facevano il giro della classe senza chiedere permesso o poi me li lanciavano sul banco senza dire nemmeno un misero "grazie".
Era vero che per il resto delle ore mi ignoravano e mi trattavano come se non esistessi e odiavo il martedì perché a mensa mi lasciavano sempre l'ultimo posto in fondo al tavolo e non riuscivo mai a sentire la conversazione e quindi era come mangiare da sola.
Era vero che facevano piani per trovarsi il sabato pomeriggio in mia presenza e alzavano la voce per farsi sentire bene e il lunedì raccontavano di come si erano divertite in piazza e dei ragazzi che avevano visto.

E lo so, visto adesso che ho il doppio di quegli anni sembra stupido, ma la tredicenne che ero voleva soltanto avere delle amiche e non essere continuamente respinta e rifiutata.
E anche per questo mi sono attaccata ad Elisa in quel modo - pretendendo sempre rassicurazioni su quanto valessi e quanto mi volesse bene come a una sorella fino a quando non ho tirato troppo la corda.

Il punto è che ****** e anche altri miei compagni di classe maschi avevano notato quello che credevo passare inosservato, essere invisibile - esattamente come me.

Finché dopo quell'invisibilità sono stata io stessa in prima persona a cercarla.

Odio associare la parola "vulnerabile" a me stessa.
Odio pensare a me come una vittima di bullismo e anche per questo evito l'argomento e, se posso, evito anche di soffermarmici con il pensiero.

Negare sempre.
Negare anche davanti all'evidenza.

Tornando ad Alaska, non ho voluto il 15 perché è la data in cui è morto mio nonno e non ho voluto il 17 perché è stato il giorno in cui è stato fatto il funerale.

Ho rifiutato categoricamente il 27 perché è il giorno in cui è morto Cico.

Novembre è un campo minato di dolore e desolazione.

E mio padre, quasi sapesse tutte queste ragioni - a parte quelle ovvie di mio nonno e Cico - ha proposto l'undici e lì non ho avuto nulla da obiettare.
Anzi, mi piace - Alaska avrà il suo compleanno l'11/11.
Mi piace.

Finalmente qualcosa di positivo in un mese che per me non ha mai rappresentato altro che sofferenza. 


"Nothing can drive one closer to his own insanity
than a haunting memory refusing its own death."

Darnella Ford


On air: 30 Seconds To Mars - Hurricane

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