martedì 22 settembre 2015

L'altro giorno mi hanno detto che sono pragmatica e logica e io ho annuito, mentre dentro di me esultavo per questa che considero una vittoria.
Perché lo è.

Forse nessuno a guardarmi indovinerebbe mai le litigate furiose che ho sempre avuto con mio padre e le parole pesanti che a volte sono volate quando avevo diciott'anni.
Quanto tagliassero più della lametta che passavo sulla mia stessa pelle, quante lacrime che mi fecero versare.

E quando lascio trasparire qualcosa di quegli anni, mi dicono che non si direbbe.
E io rispondo che ho imparato a non mostrare niente del genere, che ho lavorato duramente per far sì che niente di tutto ciò venga alla luce senza che sia io a scegliere di farlo.
E quando a volte sento certi discorsi, mi limito ad annuire con solo un pigro stiracchiamento delle labbra mentre in realtà dentro di me c'è qualcosa che urla.

Ho imparato a dissimulare, ho imparato a mentire e ad omettere, ho imparato a costruire muri così alti che nessuno dal basso riesce a vederne la cima.

Mi dicono che non parlo mai, che non mi esprimo nemmeno quando sarebbe necessario e quasi mi metto a ridere.
Quasi.
E pensare che mia madre ogni tanto mi dice che parlo troppo - anche se sotto certi aspetti ha ragione.
Ma potreste sentirmi parlare troppo di cose triviali e senza alcuna importanza, non mi sentirete mai parlare troppo di me.

Anche quella di non parlare è un'arte che ho imparato duramente.

Ricordo tutte le lacrime e le urla di quegli anni e mio padre che mi diceva di smetterla perché nessuno voleva sentirmi e di chiedermi un po' perché le cose andassero così e ancora di smetterla.
Ricordo una versione di me che si imponeva a forza di arrestare il pianto e i singhiozzi, che si imponeva di fare silenzio.
Finché un giorno il silenzio è stato tutto quello che hanno avuto di me.

Ricordo mattine in cui anche solo aprire gli occhi mi costava uno sforzo enorme.
Ricordo mattine in cui mi costringevo a fare il mio dovere per evitare domande a cui comunque non avrei risposto.
Ricordo pomeriggi in cui tornavo da scuola o altri momenti della giornata in cui mia madre mi chiedeva come stessi e io scrollavo le spalle perché avevo smesso di parlare.
Ricordo tanto silenzio dopo altrettante urla.
Ricordo le persone che mi parlavano e a cui io non rispondevo perché tanto non gli interessava sul serio quello che avevo da dire - non interessava nemmeno a mio padre, quindi perché prendersi il disturbo?

Ricordo tutte le parole non dette, ricordo tutti i muri che ho costruito, ricordo tutte le maschere che ho indossato.
Nessuno in quel periodo ha mai avuto mie parole da ascoltare, nessuno sapeva cosa davvero mi passava per la testa, nessuno sapeva la rigida routine a cui mi attenevo per non andare in pezzi, nessuno sapeva delle conversazioni tra la mia pelle e la lametta.

E un giorno ho ricominciato a parlare, ma non ho mai detto più del necessario - tutto era misurato con il contagocce.
Non ho più detto a nessuno cosa non andava, cosa mi faceva stare male, quello che combinavo a porte chiuse.
Non ai miei genitori e non alle mie amiche.
Per anni nessuno ha avuto il benché minimo spiraglio sulla mia vita, non ha visto niente che io non lasciassi coscientemente andare con l'intenzione di condividere.

Una mattina ho aperto gli occhi e ho capito che dovevo ricostruirmi una maschera, una parvenza di normalità - non potevo continuare ad essere quel guscio vuoto che tutti vedevano.
Lo ero ancora, ma non volevo essere il caso pietoso di nessuno.
Il mio orgoglio è ancora uno dei miei difetti più grandi, ma avevo deciso di smetterla di dimostrarmi così vulnerabile - volevo sembrare una persona normale così che tutti gli altri avrebbero smesso di guardarmi con occhio critico (mia madre) e mi sarei potuta rilassare un po', senza nessuno che provasse a salvarmi e libera di dedicarmi alla mia autodistruzione.

Una mattina mi sono alzata e ho delineato un piano nella mia testa, ho deciso come fingere giorno dopo giorno.
E se c'erano volte in cui pensavo fosse troppo dura, mi ripetevo che l'avevo fatto quel giorno e che di certo potevo farlo ancora un giorno di più.
Va avanti così da anni, con quell'apatia e indifferenza che ho fatto mie - in fondo non volevo essere salvata e ancora non lo voglio.

Ho ricominciato pian piano a parlare, ma erano parole effimere.
Ancora oggi i miei discorsi non contengono niente di me - mi piace pensare che una persona può credere davvero di conoscermi salvo poi rendersi conto che, se ci pensa davvero bene e con attenzione, cosa sa in realtà di me?

Mantengo un controllo ferreo sulla mia vita e sull'apparenza di questa vita che mostro in pubblico, su quello che mi passa per la testa e sulle brutte abitudini che in realtà ancora non ho perso.
Non lascio trasparire niente, faccio la persona dura e pragmatica e tutti non fanno che sbattere contro un muro di silenzio.

Ma le urla dietro quel silenzio riesco a sentirle solo io perché in realtà nessuna parte di me ha mai smesso di urlare in tutti questi anni.

On air: A Day To Remember - Sometimes You're The Hammer, Sometimes You're The Nail

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