martedì 7 ottobre 2014

Ho letto una frase, recentemente.
O meglio, di frasi ne ho lette parecchie perché sto recuperando un sacco di libri che avevo in arretrato e più che una frase, la cosa in questione a cui mi riferisco è un paragrafo.

Dopo Colorado Kid di Stephen King, ho letto I Misteri di Wayward Pines di Blake Crouch - e davvero, non ricordo l'ultimo libro che mi ha fatto venire il batticuore dall'ansia e dalla voglia di sapere come va a finire - e Wonder di R.J. Palacio.
Poi finalmente mi sono comprata House of Cards 2 - Scacco al Re di Michael Dobbs e nel frattempo mi è anche arrivato un libro che ho vinto in cambio di una recensione onesta una volta che avrò finito di leggerlo.
Peccato che in quest'ultimo caso si tratti di una storia d'amore, ma vabbè, mi farò coraggio.

A proposito di storie d'amore, finalmente ho trovato in libreria Espiazione di Ian McEwan e l'ho trovato pure in lingua originale perché davvero, in italiano c'erano la maggior parte dei libri di McEwan tranne quello che volevo io da una vita.
Ho fatto pure la foto e messa su Instagram.
E poi, cambiando corridoio, ho trovato Atonement nella sezione dei libri in lingua straniera e so che sembra strano che io scriva le parole "storie d'amore" e "finalmente" nella stessa frase, ma questo non va a finire bene.
Ma proprio per niente.
Tanto per darvi un indizio, da questo libro è stato tratto il film omonimo diretto da Joe Wright con Keira Knightley e James McAvoy e se l'avete visto, allora sapete.

Ma come al solito sono finita fuori tema.

Il punto è che ho letto una frase recentemente - o un paragrafo, se preferite.
Insomma, ho letto questa cosa e mi ha fatta riflettere un sacco.
Mi ha fatta riflettere ma ha anche riaperto vecchie ferite di cui non sono mai pronta a sopportarne il dolore.

Questa frase - questo discorso - parlava di come, quando non abbiamo più una persona a cui tenevamo nella nostra vita, sentiamo sì la sua mancanza fisica ma quello che ci manca davvero è non avere più sue notizie, non sapere più come sta.
E mi sono resa conto che è fin troppo vero.

Dico - o meglio scrivo, perché non parlo mai con nessuno di te e il tuo nome è diventato un tabù che per fortuna le persone accanto a me hanno imparato a rispettare - sempre quanto mi manchi perché per me eri come una sorella, ma a pensarci bene è non sapere più nulla della tua vita che mi manca sul serio.
E un po' forse me la sono cercata perché tanti anni fa ho calpestato quel piccolo ramoscello di ulivo che mi avevi porto ed ero sempre pronta a zittire chiunque iniziasse a parlare di te, ma la sostanza non cambia.
E odio il fatto che il tuo profilo Facebook sia parzialmente visibile perché io ogni tanto non riesco a starne lontana e detesto sia vedere quel poco di te che mostri al mondo e detesto anche non vederne di più.

La verità è che alla base di tutto c'è sempre stato il mio egoismo.
Ho zittito tutti nel corso degli anni un po' perché la rabbia era ancora troppo accecante - e a volte lo è ancora - e un po' perché non volevo sapere quanto te la cavassi bene senza di me mentre io andavo in pezzi.
Oggi principalmente è proprio perché non voglio sapere quanto la tua vita sia andata avanti come se niente fosse, come se io non ne avessi mai fatto parte.

E quindi un po' bramo le novità che pubblichi e un po' le detesto perché non sapere nulla di te è terribile, ma vederne solo uno spiraglio forse è ancora peggio perché acuisce ancora di più il senso di mancanza e di nostalgia.

On air: Daughter - Medicine

Nessun commento:

Posta un commento