mercoledì 20 novembre 2013

Mi rendo conto che (quasi) ogni volta che parlo di me poi uso le parole "sindrome di abbandono".
E sì, credo di soffrirne e per questo non lascio avvicinare più nessuno a me da anni.

Ma a pensarci bene - a pensare a me, alla mia storia, alle mie "relazioni" interpersonali - sono sempre stata io quella che poi ha messo la parola "fine" a tutto.

Ho già spiegato come funzionano le cose con me: a forza di tirare la corda poi non rimane più niente da tirare.
E io magari continuo a sorridere ma è solamente una facciata.
E magari, quando ero più giovane, c'era una valle di lacrime ad accompagnare il tutto ma oggi - oggi che ho la pretesa di definirmi "adulta" - non ci sono nemmeno quelle.

I rapporti per me si logorano talmente tanto che prima sorrido a denti stretti e poi comincio a prendere le distanze, fino a sparire del tutto.

Quindi sì, "sindrome di abbandono".
Perché se i torti non si accumulassero senza scuse o ammissioni di colpa o segni di pentimento, io non comincerei a starci male e a rivalutare da cima a fondo intere relazioni.

E sì, mi rendo conto che alla fine la figura della stronza la faccio io perché sono io a scrivere la fine, a mandare tutto a puttane, ma io mi limito a staccare la spina ad una relazione diventata miserabile a causa dell'altra persona.
Sono forse io, quindi, quella che dovrebbe essere imputata e giudicata colpevole?

Allora mi chiedo anche se sono io quella che non ha mai lottato abbastanza per salvare le cose, se sono sempre stata io a lasciare andare in cancrena quell'arto che poi ho amputato.

E non ho una risposta.

On air: Panic! At The Disco - Girls/Girls/Boys

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