lunedì 9 settembre 2013

Di solito non vado in giro sguazzando nell'autocommiserazione.
Se lo faccio, è un lusso che mi concedo solo nella privacy della mia camera completamente buia prima di addormentarmi e di certo mai di fronte a qualcun altro.
Non riuscirei a farlo nemmeno davanti allo specchio; sono troppo vigliacca per un gesto così grande.

Poi ci sono giorni in cui il mio morale è più a terra del solito e sì, lo so, può sembrare un controsenso, ma per "coccolarmi" mi concedo quei cinque o dieci minuti extra di autocommiserazione alla luce del sole.

E poi ci sono quei periodi in cui i giorni di "coccole" accadono praticamente ogni giorno.

Una volta, non ricordo nemmeno se su questo blog o su quello vecchio, avevo scritto che persino il film più scadente contiene certe verità sulla vita che sono innegabili.
E qualche tempo dopo ho scritto di aver letto un libro che non faceva altro che confermare quella teoria che, diciamoci le cose come stanno, sapevo essere vera ma comunque mi terrorizzava a morte.
Cos'è che non mi terrorizza a morte, poi.
Ma quella è un'altra storia per un'altra volta.

E in questo weekend appena passato ho letto un altro libro in cui questa teoria era spiegata ancora una volta e perfettamente nero su bianco.
Ma non ho ancora detto di che si tratta, vero?
Con calma poi ci arrivo.

In uno dei miei telefilm preferiti, il mio personaggio preferito in assoluto in un episodio se n'è uscito con questa frase:


“If one’s an incident, two’s a coincidence and three’s a pattern, what’s four?”

Dove uno è il film, due è il primo libro, tre è il secondo libro e quattro possiamo dire che sia la mia intera vita.
E mi sono ritrovata all'una di notte a piangere e a ridere contemporaneamente e ho pensato che forse era arrivato sul serio il momento di affrontare tutto ciò che reprimo e a cui concedo al massimo cinque minuti di respiro ogni notte.
Ho pensato che forse era arrivato il momento di sguazzare pubblicamente nell'autocommiserazione su questo blog, come forse non faccio da anni.

La cosa che mi ha sempre frenata dal farlo è sempre stata una sola.
Anzi, in realtà le ragioni sono molteplici.

Una è che sicuramente non mi piace sentirmi e mostrarmi debole e vulnerabile, più "preda" di quanto io non sia già abbastanza nel mondo reale per le persone che mi circondano.
L'altra è che io sono sempre stata quella "forte", quella a cui tutto scivolava addosso.
La voce di Eleonora mentre mi ripeteva queste parole continua a risuonarmi in maniera cristallina nella testa ancora adesso a distanza di anni.

Ma la vera ragione è che ho sempre temuto che qualcuno che mi "conosce" nella realtà fosse poi anche a conoscenza del mio blog.
E davvero, io parlo, parlo, parlo, ma cosa c'è di davvero personale in queste pagine?
Non ci sono nomi (o quasi) e se anche ci fosse qualcosa di personale, sono comunque cose che le persone - perlomeno quelle più vicine a me - conoscono già perché sono io stessa a dirgliele, in quei rari momenti in cui realmente parlo e non defletto domande e discorsi di natura realmente personale.
Ma poi penso che ogni tanto scrivo anche che mi tagli(av)o e che quello lo sa(peva) solo Serena.

Quindi, dato che ho fatto trenta, perché non fare anche trentuno?
Perché non fare finalmente un post realmente personale in cui ammettere tutte quelle debolezze che mi fanno suonare patetica persino alle mie stesse orecchie quando cedo alla tentazione?
Perché non umiliarmi davanti a chi mi legge e a chi magari mi conosce "sul serio" nella realtà così, ogni volta che mi vedrà, avrà queste parole marchiate a fuoco nella propria testa e allora si farà una bella risata?

Non ho mai negato di essere una persona ossessiva e mentre giovedì aspettavo il mio turno dalla parrucchiera, mi sono ritrovata a fissare il vuoto mentre inconsciamente grattavo leggermente l'interno del mio polso sinistro.
Poi mi sono riavuta e ho cercato di concentrarmi sulla conversazione frivola che stava avvenendo nella stanza.
Ma sarei una stupida e un'ipocrita se negassi che ci penso quasi tutti i giorni.
Se negassi che ogni volta che mi cade l'occhio su quel lembo di pelle così bianca, il mio primo istinto è quello di lacerarla con le unghie o con i denti o con qualsiasi cosa tagliente a portata di mano.

E mento, mento continuamente.
Mi chiedono come sto e rispondo che sto bene, mi chiedono cosa c'è di nuovo e rispondo nulla.

La verità è che sto peggiorando e persino mia madre se n'è accorta, visto che qualche mese fa mi ha detto che dovrei andare dallo psicologo.
Ma non so nemmeno se mi sento come mi sentivo a tredici anni oppure come mi sentivo a diciassette.
E ho seriamente paura che la risposta giusta sia la prima perché, se fosse quella, allora sarei davvero nei guai.
Perché ricordo bene cosa ho tentato di fare più di una volta a tredici anni.

E non so, continuo ad ascoltare questa canzone di Chester See che, per quanto sia cheesy, comunque mi piace troppo.
E una volta, ascoltandola, avrei pensato a qualcuno.
Con tutta probabilità a NAC.
O forse avrei pensato a qualcuno - quasi sicuramente NAC - che me l'avrebbe dedicata.
Oggi invece mi fa solo venire voglia di restare sdraiata a letto, guardare fuori dalla finestra e avere la testa completamente vuota.

Il libro che ho letto in questo weekend è di Kody Keplinger e si chiama The DUFF: Designated Ugly Fat Friend e sì, forse è un po' troppo in "basso" per la mia età essendo ambientato alle superiori, ma l'ho letto comunque.
Indovinate perché?
Perché la DUFF del mio gruppo di amiche sono io.

Ma se tra di voi c'è qualcuno che mi segue da quando avevo ancora il mio vecchio blog su Splinder, quanto segue gli risulterà familiare perché è un tuffo nell'autocommiserazione che ho già fatto quando andavo ancora al liceo e avevo diciotto anni.

Il film di cui parlavo all'inizio di questo post - e di cui non ho mai fatto il nome nemmeno la prima volta che l'ho citato - si chiama Gioco D'Incontri.
È un filmetto di poco conto, tanto più che non ricordo nemmeno gli attori o di cosa parla, ma contiene una di quelle che Jane Austen avrebbe chiamato "verità universalmente riconosciute".

C'è questa scena dove due uomini sono in un bar e vedono due o tre ragazze sedute al bancone.
Uno dei due uomini vuole andare a rimorchiare la più bella (ovviamente), ma l'altro lo ferma quasi immediatamente e gli dice che la sua strategia non funzionerà e che non riuscirà a portarsi a casa la strafiga.
Il primo gli chiede come mai e come dovrebbe fare allora, e il secondo è fin troppo felice di spiegare la cosa.
In pratica il trucco consiste nell'attaccare bottone con quella più "cozza" in modo che abbia i suoi due o cinque minuti di gloria e solo dopo iniziare a parlare con quella a cui si mira davvero, così l'amica splendida non avrà motivo di sentirsi in colpa in quanto l'amica "cozza" non è stata ignorata come succede di solito.

Dopo aver visto questa scena, ho dovuto mettere il film in pausa perché mi sentivo male.
È stato come quando ho pienamente realizzato di essere stata vittima di bullismo anni dopo aver finito le superiori e solo perché hanno fatto un servizio approfondito al telegiornale.
Ero sull'orlo di un attacco d'ansia e non riuscivo a respirare bene perché sono di quelle cose che, sebbene siano sempre state una costante della tua vita, sai solo a livello inconscio perché continui a rifiutare la realtà e di cui ti rendi veramente conto solo quando te le sbattono brutalmente in faccia.

La seconda volta che ho incontrato questa teoria è stata quando ho letto Sette Ore Per Farla Innamorare di Giampaolo Morelli, l'unico attore italiano che mi piace sul serio.
Stavolta la teoria era leggermente diversa, ma il succo - (il motivo del)l'approccio - rimaneva sempre lo stesso.
Anche in questa occasione bisogna attaccare bottone prima con la "cozza", ma solo perché la "splendida" è troppo abituata alle avances e quindi sta sulle difensive.
Ma se vede che date spago alla sua amica e la ignorate, inizierà a sentirsi offesa e allora pretenderà le vostre attenzioni.
Attenzioni che voi sarete poi lieti di darle, dimenticandovi completamente della "cozza".

E adesso ho letto The DUFF, dove la DUFF è la ragazza meno attraente del gruppo che viene sempre ignorata dai ragazzi perché non altrettanto bella come le sue amiche.
E il libro comincia proprio con Wesley - bello da morire, ricco e popolare - che si siede accanto a Bianca in un locale e una delle prime cose che le dice è che lei è la DUFF del suo gruppo.
Le dice poi anche di collaborare, di fare anche solo finta di avere instaurato una bella conversazione perché se le sue amiche Casey e Jessica vedono che lui è abbastanza carino e gentile da parlare anche con l'amica brutta, allora lui ha più possibilità di avere una chance con una delle due. 


“I actually need your help. You see, your friends are hot. And you, darling, are the Duff.”
“Is that even a word?”
“Designated. Ugly. Fat. Friend,” he clarified. “No offense, but that would be you.”
“I am not the—!”
“Hey, don’t get defensive. It’s not like you’re an ogre or anything, but in comparison…” He shrugged his broad shoulders. “Think about it. Why do they bring you here if you don’t dance?” He had the nerve to reach over and pat my knee, like he was trying to comfort me. I jerked away from him, and his fingers moved smoothly to brush some curls out of his face instead. “Look,” he said, “you have hot friends… really hot friends.” He paused, watching the action on the dance floor for a moment, before facing me again. “The point is, scientists have proven that every group of friends has a weak link, a Duff. And girls respond well to guys who associate with their Duffs.”
“Crackheads can call themselves scientists now? That’s news to me.”
“Don’t be bitter,” he said. “What I’m saying is, girls—like your friends—find it sexy when guys show some sensitivity and socialize with the Duff. So by talking to you right now I am doubling my chances of getting laid tonight. Please assist me here, and just pretend to enjoy the conversation.”
(Kody Keplinger - The DUFF: Designated Ugly Fat Friend)

Perché non ho chiuso immediatamente il libro dopo le prime tre pagine?
Perché fondamentalmente sono una masochista e poi perché, tanto per ricollegarsi al mio post precedente, volevo vedere se per Bianca c'era il lieto fine.
And of course there was.
E Dio, tanto per citare tutti i dannatissimi cheesy clichés, ovviamente Bianca è capace poi di far innamorare il bad boy e womanizer Wesley e riesce a farlo cambiare.
E ovviamente poi lei lo perdona, nonostante lui passi tre quarti del libro chiamandola "Duffy".
Certo, perché lei è "l'eccezione" e qua mi sto infilando dritta nel film He's Just Not That Into You che, nonostante tutto, resta uno dei miei preferiti.
L'ho detto che ero la regina delle rom-coms, no?
Geez.

La verità è che la realtà è tutta un'altra cosa.
La verità è cerco sempre di non concedermi questi momenti di autocommiserazione perché so che poi va a finire male.

La verità è che io sono sempre stata la DUFF di turno, anche quando credevo di non esserlo.
E sono state proprio le volte in cui credevo di non esserlo che hanno fatto più male.

Ho perso il conto di quante volte sono stata avvicinata e poi si scopriva essere una presa per il culo oppure una scusa per saperne di più sulla mia amica splendida.
Ho perso il conto di quante volte sono l'ultima a cui la gente si presenta o addirittura si dimentica di farlo.
Ho perso il conto di quante volte sono stata completamente ignorata come se non fossi nemmeno presente, tanto più che i ragazzi che attaccavano discorso con la mia amica formavano praticamente una muraglia umana tra me e lei.

E prima era un attacco d'ansia dietro l'altro, poi ho imparato a controllarmi meglio.
Con un sorriso di circostanza sulla labbra lascio fare e mi limito a guardare perché, come diceva una canzone che non ascolto (volutamente) da troppo tempo, "a tutto si fa l'abitudine".
O almeno così dice chi la canta.

E allora avrò perso anche otto chili e avrò imparato a vestirmi meglio, ma la DUFF resto sempre io.
E sbuffo ogni volta che Laura e Alessia mi dicono che sono prevenuta e paranoica, perché forse lo sarò anche sul serio, ma ho imparato a riconoscere una trappola quando ne vedo una.

Esilarante poi (il titolo del)la canzone con cui sono ossessionata da giorni, no?

On air: Chester See - God Damn, You're Beautiful

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