mercoledì 17 luglio 2013

Ogni tanto incrocio persone che conoscevo tanti anni fa e faccio fatica a riconoscerle.
Forse come loro faticano a riconoscere me.


Non ricordo più il suono delle loro risate, il modo in cui gesticolavano per sottolineare qualcosa che il tono di voce non poteva esprimere, se un angolo della loro bocca si incurvava più dell'altro quando sorridevano.
Ricordo che io avevo l'abitudine di sollevare di più l'angolo sinistro della mia bocca, quando facevo un sorriso imbarazzato.
Oggi incurvo l'angolo destro - e non importa che ora non sia dovuto solo all'imbarazzo, ma anche al nervoso oppure all'arroganza - più che un sorriso, la mia è una smorfia che farebbe invidia a quella del Joker interpretato da Heath Ledger.


Avrei voluto essere il tuo peggiore incubo, avrei voluto essere come quella canzone dei The All-American Rejects in cui Tyson canta "when you see my face, I hope it gives you hell".
Ed è finita che sono sì diventata un incubo, ma lo sono diventata per me stessa.
Posso quasi sentirti ridere, sebbene non ti veda da così tanto che ho perso il conto.
O forse ho voluto perderlo apposta per non ricordare quello che io, tu - noi - ci siamo lasciate scivolare tra le dita.


Non ho mai voluto essere un cliché, ma più ci provavo, più in realtà finivo per corrispondere a quei luoghi comuni e ad entrarci di diritto.
Forse, quando non sapevo chi fossi, volevo avere un'etichetta appiccicata addosso - una qualsiasi mi andava bene - a tutti i costi che mi desse almeno una parvenza di identità, ma poi quando ho cominciato a capire cosa davvero non riuscissi a tollerare e come le cose dovessero andare secondo me, ho fatto di tutto per scrollarmi di dosso qualsiasi di quelle definizioni superficiali.
Magari adesso sono comunque un cliché e non me ne rendo nemmeno conto, convinta come sono di aver raggiunto l'indipendenza emotiva distaccata da tutto e da tutti.
Convinta come sono a volte di essere più intelligente di qualcun altro solo perché leggo libri in inglese e perché guardo le serie tv in lingua originale e ascolto sì forse pochi artisti, ma solo quelli che mi piacciono davvero e non per seguire una moda.
Convinta come sono di essere solo io un'anima tormentata perché mi tagli(av)o, ho paura dell'intimità fisica e mentale con le persone e fuggo da qualsiasi tipo di relazione.


L'altra notte ho sognato di ricominciare.
In realtà non ricordo come è iniziato il sogno e non ricordo nemmeno proprio il gesto di farlo, ma ricordo che tiravo su le maniche e avevo gli avambracci devastati.
Non ricordo se mi sono messa a piangere ma allo stesso tempo però non riuscivo a distogliere lo sguardo, esattamente come non ricordo se con me ci fosse qualcuno e io poi tentassi di tirare giù le maniche oppure fossi sola e indisturbata.
So solo che, se ci ripenso adesso, ancora avverto quella sensazione malata di orrore mista ad eccitazione.
E so anche che non ci devo pensare perché altrimenti può solo finire male.
Ma Dio solo sa quanto ne avrei voglia.


Staring out over the crowded scene
Ankle deep in the fallen leaves
I feel the idle of a thousand dreams
In every stranger passing me
You are not yet what you will become
Nothing is what it was

On air: Jakob Dylan - Here Comes Now

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