mercoledì 12 giugno 2013

Ogni volta che ascolto una loro canzone, una di quelle del 2006 o anche una di quelle dell'anno successivo, torno a sentirmi - ad essere - quella ragazzina di diciassette anni insicura, confusa, arrabbiata, spezzata.

Ripenso a quel CD che ho praticamente consumato tutti i giorni di quell'estate, piangendo come una dannata ragazzina per quanto stavo male.
E la verità è che lo ero.
Una ragazzina, intendo.

Penso a quell'estate, a quelle canzoni e a come, quando ancora il mio blog stava su Splinder, avessi scritto più di una volta che il 2006 era stato un anno di svolta.
Per me nel peggiore dei modi, ma per quei quattro ragazzi aveva significato il successo.

Penso a quei ragazzi e a quanto siano stati la mia ancora di salvezza quando ogni certezza su cui credevo di poter contare mi stava scivolando tra le dita.
E ora le loro nuove canzoni non mi rispecchiano più, ma quei primi due album ancora significano tutto per me.
Ancora simboleggiano il fatto che io mi sia aggrappata a qualcosa e non abbia mollato tutto.
Ancora significano il fatto che avevo un motivo per respirare.

Oggi ho ascoltato quell'album e quando ho sentito quella traccia ho sorriso perché quella canzone ha sempre parlato di mio nonno e all'epoca erano passati solo tre anni e ancora io annegavo nei sensi di colpa.
Non che non lo faccia anche adesso, ma almeno ora riesco anche a sorridere quando penso a lui.

Venerdì sera io e Serena abbiamo fatto una serata casalinga: pizza, film e chiacchiere.
Ed era già passata la mezzanotte ma poi, non so come, mi ha chiesto a che età vorrei tornare.
E i 17 anni sono stati i primi che ho escluso.
Poi ho escluso i diciotto, poi i dodici e i tredici e i quattordici e stavo per fermarmi sui sedici ma poi ci ho riflettuto bene e allora ho scelto i quindici, pensando ai deliri di onnipotenza che sentivo sulla mia vita e su come credessi di avere il controllo su tutti e che niente potesse scalfirmi.
Le ho raccontato flashbacks della mia vita che forse aveva già sentito o forse no, persone che ho incontrato e come hanno influito sulla mia vita, avvenimenti avvolti dalla nebbia del tempo e quindi mezzi dimenticati.
E alla fine sono arrivata alla conclusione che non tornerei affatto indietro, non mi soffermerei nemmeno sulla quindicenne ubriaca di potere che sono stata perché preferisco essere fin troppo prudente piuttosto che senza buon senso.
Perché non è vero, come credevo, che niente può scalfirmi.
E soprattutto perché preferisco tenermi i miei rimpianti e rimorsi, perché almeno un po' mi conosco e so che comunque rifarei tutto nella stessa, identica maniera.
Perché sono fatta così e non posso cambiare quello in cui ho sempre creduto, quello che mi ha portata a mettere la fine ad alcuni rapporti che per me significavano la vita.

Ci sono giorni in cui dimenticarmi di avere 24 anni e tornare ad averne diciassette fa bene alla mia salute mentale, mi aiuta a fare i conti con la persona che ero e con la persona che sono oggi.

Ci sono giorni in cui non ho mai smesso di avere diciassette anni.

Ci sono giorni in cui sono una persona estremamente autodistruttiva e altri, come questi, in cui non me ne frega un cazzo se qualcuno che pensa di conoscermi legge queste righe e poi mi giudica.

Ci sono giorni in cui non importano i difetti, gli errori commessi, le scelte sbagliate e tutto quello che sta in mezzo perché mi vado bene così.

E sai?
Una volta - nemmeno tanto tempo fa, ad essere onesti - speravo di vederti ovunque andassi.
Ora, dopo l'ultimo incontro faccia a faccia, mi auguro sinceramente di non rivederti mai più.

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