giovedì 27 giugno 2013

C'è qualcosa di perversamente poetico nel camminare lungo strade dolorosamente familiari e allo stesso tempo sconosciute con la consapevolezza di non essere più la persona che una volta le avrebbe potute percorrere ad occhi chiusi.
Ancora più perverso è sapere che comunque, anche con gli occhi bendati, si riuscirebbe ancora ad evitare anche la più piccola buca nel marciapiedi.


Sono passati dieci anni da quando ho finito le scuole medie eppure ancora tremo nel rivedere quei gradini dove si sedevano i ragazzi più grandi; gradini sui quali poi ci sedevamo noi una volta arrivate in terza media, manco fossimo state la versione nostrana di Blair Waldorf, Serena Van Der Woodsen e delle loro tirapiedi dell'Upper East Side di Gossip Girl, che all'epoca nemmeno esisteva come telefilm.
Non sono sicura sulla data dei libri e non ho voglia di andare a cercarla.

Quella via lungo la quale camminavamo prima che fosse ora di entrare a scuola, prima che suonasse la campanella della prima ora.
Quella via che sembrava quasi una passerella d'alta moda per il modo in cui tutte ce la tiravamo e "sfilavamo" davanti a tutti.


Tremo nel rivedere il muretto recintato di quella stessa scuola, sul quale io ed Elisa ci sedevamo sempre in estate e dove abbiamo beccato per la prima volta quella nostra compagna di classe ed ex-amica insieme a quel ragazzo per il quale tutte, a dispetto di qualsiasi logica e buon senso, avevamo una cotta.
A ripensarci adesso - no, in realtà l'ho realizzato molti anni fa - io avevo una cotta per lui solo perché ce l'avevano tutte.
Era una di quelle cotte che ti prendi per forza, quelle cotte per cui la gente non fa altro che ribadire quanto sia perfetto un certo tipo.


Tremo eppure allo stesso tempo guardo tutto con distacco perché dieci anni sono veramente una vita a quest'età e penso a quella ragazzina, e nonostante la sua stupidità o ingenuità o come altro vogliate chiamarla, comunque sorrido.
Ripenso a com'era sentirsi padroni del mondo e non aver paura di niente e ad aver voglia di fare qualsiasi cosa, più che altro perché a quell'età quasi tutto ci era proibito: alcol, uscite serali, trucco e via di questo passo.
Ripenso a quella ragazzina e poi penso a come sono adesso: dieci anni dopo sono l'ombra di quella che ero.
Calcolo ogni singolo passo, ogni singola parola, ogni singolo movimento, ogni singolo respiro.
Tremo sì ancora, ma di paura, e non vorrei fare altro che nascondermi alla vista della gente; solo il pensiero di quella "passerella" davanti a tutti è capace di farmi rintanare sotto le coperte.


In dieci anni ho perso qualsiasi forma di sicurezza, autostima o voglia di vivere che io abbia mai avuto.
Non ascolto nemmeno la metà delle parole che la gente mi dice perché in fondo non mi interessa e ho perso qualsiasi forma di qualità o buoni sentimenti e i difetti mi hanno mangiata viva.
Sono diventata il tipo di persona che ho sempre detestato e la cosa dovrebbe farmi rabbrividire - dovrebbe essere quella la reazione sana - ma sono troppo apatica per anche solo pensare di riaccendere il pulsante delle emozioni.


Avevo visto solamente puntate sporadiche - o forse sarebbe meglio dire spezzoni - di Being Erica e così, quando il mese scorso sono cominciate le repliche su Rai 4, mi sono messa a guardare la serie dall'inizio.
Being Erica mi ha sempre affascinata come telefilm; forse per le sue citazioni, forse per l'argomento in sé.
I rimpianti.
Erica arriva a toccare il fondo nella sua vita e il Dr. Tom le dà la possibilità di tornare indietro nel tempo e sistemare le cose.
Piccolezze, inezie, ma che permettono ad Erica di vivere meglio il presente e salvare qualche rapporto con le persone oppure mettere fine ad altri.

In uno dei miei ultimi post ho scritto che se anche avessi potuto tornare indietro, comunque avrei rifatto tutto nella stessa maniera.
Ma forse non è vero.

I rimpianti: sono ciò che ci tiene svegli la notte, ciò che ci impedisce di accettare il passato, vivere il presente con serenità e aspettare fiduciosi il futuro.
E io non ne sono esente.

Erica non può impedire la morte del fratello perché le conseguenze sarebbero devastanti e io non potrei impedire in nessun modo la morte di mio nonno.
Ma sapendo quello che so oggi, sapendo che il tutto sarebbe durato "solo" sei mesi, non sbufferei ogni volta che si trattava di andare in ospedale e tornare a casa ad orari impossibili invece di fare la lagna e mettere il broncio perché non potevo rimanere in piazza e vedere il ragazzo per cui avevo una cotta.
Passerei più tempo con lui nel periodo in cui era a casa, in quel luglio afoso e soffocante.
Farei in modo che mia madre mi dicesse la verità prima che sia troppo tardi, che non mi nascondesse che si trattava di un tumore e non di "semplici" complicazioni post-operatorie.
E so che mio nonno non voleva che lo vedessi nei suoi ultimi giorni perché non voleva che lo ricordassi in quel modo, ma rimpiango di non avergli detto addio.
Rimpiango quell'ultima sera in cui l'ho visto, quell'ultima sera in cui sono uscita dalla sua camera e l'ho salutato come solito, come se davanti a me - e a lui - ci fossero ancora tante altre sere.
Ma non ci sono state.
La rimpiango ma allo stesso tempo non riesco a ricordarla, vuoi perché troppo doloroso e la mente ha deciso di dimenticarla per proteggermi o vuoi perché a quattordici anni ero incredibilmente stupida e infantile.

Quando vedevo le puntate a caso di Being Erica, mentre magari facevo qualcosa per casa e la televisione faceva compagnia e da sottofondo, una delle puntate che vedevo più spesso era la settima della terza stagione.
A parte Erica, non sapevo chi fossero esattamente gli altri personaggi e neanche cosa stesse succedendo nella vita della protagonista e di solito l'episodio era già alla fine quando mettevo su Rai 4.
Ma la citazione finale..
La citazione finale era un qualcosa che mi colpiva sempre dritto in pieno stomaco e fin dalla prima volta ho capito che era la descrizione perfetta per me ed Elisa.
Ho rivisto quella puntata - stavolta dall'inizio alla fine e sapendo chi fosse ognuno - proprio ieri.

Friendship. Two people choose each other through the some mysterious mix of all coming circumstances. On the surface, the reason for our choice seems obvious: they share our interests, they make us laugh. But is there more to it than that? And do we ever really stop and wonder why this person and not another? [..] Friendship. It begins when two people choose each other. But what happens when we outgrow the choice? When, little by little, our paths diverge, our needs change, and one day we wake up and realize that we need to choose something different?
(Being Erica – 3x07 – Jenny From The Block)


Se tornassi indietro, con lei non sono sicura di cosa cambierei.
Le cose erano già troppo rovinate per essere salvate in qualsiasi modo e ora me ne rendo conto.
Probabilmente eviterei di fare quella scenata che ho fatto quel famoso 1 agosto 2006.
Non dico che saremmo rimaste amiche, questo lo dubito fortemente, ma forse avremmo mantenuto un minimo di civiltà tra di noi.
Forse ci saluteremmo solo da lontano e con un cenno, ma sarebbe perlomeno qualcosa di più del niente che c'è ora.
Che c'è da anni.

Credo che siano questi i miei unici rimpianti, quelli per cui tornerei indietro nel tempo pur di avere la chance di rendere le cose un po' diverse - migliori.
Forse non sono gli unici rimpianti che ho, ma sono quelli che mi rosicchiano di più l'anima - o perlomeno ciò che ne è rimasto.
Non ricordo più com'era non essere indifferente a qualsiasi cosa, com'era guardare qualcosa o qualcuno e non vederci attraverso come se nemmeno fosse davanti ai miei occhi.

E ora veniamo a te.
Ricordi quando ho scritto che quella domenica ho ascoltato due volte Hang You Up degli Yellowcard e, solo a canzone finita, mi sono accorta che il pensiero di te non mi aveva mai sfiorata?
Avevo pensato che fosse strano, ma che fosse indubbiamente un bel segno.
Il segno che ti stavo lasciando andare finalmente.
E martedì, che tecnicamente sarebbe stato l'«anniversario» del nostro primo incontro (e ora non voglio nemmeno contare quanti anni sono, mi rifiuto), ho speso un solo pensiero su di te, ma solamente perché mia madre mi ha ricordato che era il compleanno della figlia di una sua cugina.
Se non fosse stato per quello, avrei tranquillamente continuato ad ignorare che martedì fosse il 25 e ciò che negli anni scorsi significava per me quel giorno.
E quando ieri me ne sono resa conto, non ho potuto fare a meno di sentirmi fiera di me stessa.
E sì, ogni tanto capita anche quello.
Ma come vedi, per me non significhi più niente.

On air: Imagine Dragons - Radioactive

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