venerdì 5 aprile 2013

Non scrivo da tempo immemorabile, lo so.
Solo che, sebbene le cose si accumulino, non riesco a trovare la voglia di mettermi a scrivere.
Forse anche per paura di vedere nero su bianco ciò che potrei lasciarmi scappare contro la mia volontà.


So di essere una persona estremamente contraddittoria.
So di aver detto che uscire non mi piace più ed è ancora così, però ci sono altre occasioni in cui magari non vedo l'ora.
Forse perché magari tendo ad illudermi che le cose potrebbero cambiare e non andare nello stesso modo.
E se penso che il mio compleanno non volevo nemmeno festeggiarlo e invece mi tocca addirittura uscire due sere di seguito, mi viene solo voglia di rannicchiarmi sotto le coperte e non uscirne mai più.


Ieri sera - o sarebbe meglio dire stanotte - ho finito di leggere The Perks Of Being A Wallflower di Stephen Chbosky.
E no, non ho scritto il titolo del libro in originale solo per sembrare più figa.
L'ho scritto perché il libro l'ho proprio letto in inglese.
Spesso, quando alcune persone scoprono che alcuni libri non li leggo in italiano, mi viene chiesto perché.
E non so mai cosa rispondere.
E l'altro giorno ho pensato che leggendoli in lingua originale mi sembra di arrivare alla loro vera essenza, di capire il loro vero significato.


Stanotte ho finito di leggere The Perks Of Being A Wallflower e sono rimasta per dieci minuti in silenzio, distesa sotto le coperte, a ripensare a quello che avevo appena letto.
A cercare di essere più un "filtro" piuttosto che una "spugna", come viene consigliato a Charlie nel libro.
E mi sono quasi messa a ridere quando ho ripensato a tutte le cose che ho scritto e vissuto nel corso degli anni e di come io abbia sempre "assorbito" tutto perché non sono mai stata capace di filtrare.
Nonostante manchi una settimana ai miei 24 anni, ho sentito di avere un sacco di cose in comune con Charlie.
The Perks Of Being A Wallflower è stato un libro che ha colpito diverse cose dentro di me, cose di cui ero un po' consapevole e un po' no.
E mi sono resa conto per l'ennesima volta che io non vivo, ma mi limito sul serio a fare da tappezzeria.
Faccio tutte le cose che fa Charlie: sono la spalla su cui piangere e con cui sfogarsi e sono comprensiva e sensibile e ascolto, ma per il resto non faccio niente.


"Charlie, don't you get it? I can't feel that. It's sweet and everything, but it's like you're not even there sometimes. It's great that you can listen and be a shoulder to someone, but what about when someone doesn't need a shoulder. What if they need the arms or something like that? You can't just sit there and put everybody's lives ahead of yours and think that counts as love. You just can't. You have to do things."

E mi sono resa conto che è quello che ho fatto da quando avevo 13 anni e cercavo di essere una persona perfetta.
Ho messo le vite degli altri davanti alla mia.
E mi rendo conto di farlo ancora adesso, quando non sono anestetizzata da qualsiasi cosa.


Non so se sto covando un altro crollo, non so se le lacrime che mi sono scappate in queste due notti ne siano il sintomo.
Ma preferisco incolpare la sindrome premestruale piuttosto che qualsiasi crisi che minaccia di ridurmi in pezzi ancora una volta.
Anche se mentre ero sotto le coperte sarebbe stato così facile allungare un braccio fuori e afferrare la lametta nel cassetto del comodino lasciato aperto.


So di avere qualcosa di sbagliato.
So che c'è qualcosa che non va in me e so che ci sarebbe da lavorarci un sacco.
Però ancora preferisco fare lo struzzo, evitare gli sguardi delle persone e fingere di non esserci.
Di fare esattamente la carta da parati.


On air: Paramore - Last Hope

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