lunedì 17 settembre 2012

Mi rendo conto di aver smesso di parlare.
Non nel senso letterale del termine, ovviamente.
Mia madre, quando la tramortivo di parole, mi chiamava sempre "logorroica" e davvero, sembravo non riuscire a stare mai zitta.
Sembrava che stessi recuperando tutto il tempo perduto perché mi hanno sempre raccontato che ho cominciato davvero tardi a parlare.
Raccontavo praticamente tutto ai miei genitori; quello che mi succedeva a scuola, con le amiche e anche le mie cotte.
E se mia madre si limitava ad ascoltarmi e qualche volta a lasciarmi un consiglio o una perla di saggezza delle sue, mio padre a volte smetteva di ascoltarmi e ogni volta mi diceva di smetterla di farmi illusioni sulla cotta di turno perché tanto non gli interessavo.
Quando poi è entrato in gioco Luca in maniera quasi permanente, le cose sono addirittura peggiorate.
Ma nonostante questo parlavo, continuavo a farlo perché ne sentivo il bisogno quasi fisico.
Sono figlia unica e a casa non ho mai avuto nessun altro con cui parlare, fino a quando è arrivato il giorno in cui ho smesso di farlo.
Non me ne sono resa conto inizialmente perché il processo è stato graduale, ma un giorno ho aperto finalmente gli occhi e mi sono resa conto che non ricordavo più il suono della mia voce.
Ricordo che ho cominciato con il tacere piccole cose, prima con i miei genitori e poi con le amiche e poi con il resto delle persone che mi circondavano.
Persone che comunque avevano smesso di ascoltarmi da tempo.
Forse è anche per quello che ho iniziato a scrivere; troppe parole e nessuno su cui riversarle.
Nessuno a cui farle conoscere.
Dopo aver iniziato a tacere le piccole cose ricordo che ho cominciato ad urlare tra un pianto disperato e l'altro, mentre la mia amicizia con Elisa affondava come il Titanic.
E ancora mia madre che mi ascoltava e mio padre che mi diceva di tacere e di smetterla di piangere, che tanto non serviva a niente.
Ricordo che la prima persona con cui ho davvero smesso di parlare, lasciando vedere solo l'aspetto più superficiale di me stessa, è stata Eleonora.
E lei in fondo non voleva davvero ascoltare, non le interessavano le mie risposte perché è - o era - una di quelle persone a cui piace ascoltare la propria voce.
Tutto il resto non importava.
Poi a diciotto anni ho avuto un altro crollo nervoso e se prima tacevo ai miei genitori solo piccole cose, poi non potevo confessare loro il fatto che bevessi per cercare di rimanere anestetizzata nei confronti di quello che mi circondava e che mi tagliassi per sfogare in qualche modo tutto quello che avevo dentro.
E ancora urlavo e piangevo e mio padre mi dava addosso, dicendo che in fondo era colpa mia perché ero io ad essere sbagliata e non come tutti gli altri.
E mia madre voleva ascoltarmi ma io non volevo più parlare.
E così, buona parte di quello che dovevo tacere ai miei genitori e a quelli che mi circondavano, è finito in alcol, diari, musica e tagli sulla pelle.
Poi sembravo aver ripreso un po' di stabilità e un po' di dialogo fino a quando non è successo il casino con Ambra.
E dopo la prima settimana di lacrime e urla, a cui mio padre ormai non batteva più ciglio, ho smesso proprio di parlare.
Un giorno stavo fissando il vuoto in salotto e mia madre mi ha chiesto - mi ha supplicata - di parlare con lei e l'unica cosa che ho fatto è stata guardarla come se non fosse davanti a me, per poi distogliere lo sguardo.
Con il tempo ho ripreso a parlare, ma non sono più stata la stessa.
E oggi parlo, forse anche troppo a volte, ma non si tratta più di cose che mi riguardano da vicino.
Sono sempre cose superficiali, cose che non mi toccano.
Ho smesso di parlare e di confidarmi con i miei genitori e mi rendo conto solo ora che non sanno praticamente nulla della mia vita e delle persone che incontro, che passo più tempo per conto mio che in loro compagnia quando ci ritroviamo tutti sotto lo stesso tetto.
Ho smesso di parlare con le persone che mi circondano e tutti mi scambiano per una stronza, ma non mi importa.
Ho smesso di parlare con le mie amiche e le uniche che sanno cosa succede nella mia testa e quello che provo verso determinate persone sono solamente Serena e Laura.
Credo che loro siano le uniche persone con cui davvero parlo.

Parole e silenzio sono sempre stati sia il mio scudo che le mie armi, scambiandosi la mansione a seconda delle necessità.
Oggi mi difendo con il silenzio e attacco con le parole, creando intrecci complicati con lo scopo di distrarre chi mi ha fatto una determinata domanda a cui non voglio rispondere.
Una domanda che mi costringerebbe a parlare.
Sono diventata un'artista nel deflettere.
E per dimostrare che non mi sono appena inventata ciò che ho scritto sopra, questo è quello che ho scritto il cinque marzo del 2008 sul mio vecchio blog.
E sapete bene che Splinder ha chiuso a fine gennaio.
Fa un po' impressione rendersi conto di come ricordo bene quegli anni e di come, nonostante siano passati più di quattro anni, niente sia veramente cambiato.
Di come io non abbia fatto nessun passo avanti.


Pensando a me e ai miei sentimenti, mi sono resa conto che negli ultimi due anni sono diventata, come ho sentito dire, "emotivamente stitica". Ormai, che alcune persone ci siano nella mia vita o meno, non mi importa più. Sono diventata emotivamente autonoma. Sono diventata un deserto freddo e ghiacciato. Non sento la mancanza di nessuno, o quasi. Non sento nemmeno quella dei miei genitori quando non ci sono o quando mio padre parte per lavoro. Più le persone mi piantano in asso, più io divento fredda. Non riesco più ad affezionarmi a nessuno. A che scopo? Tanto tutti se ne andranno, prima o poi. Sono sola e sto bene. Questo è un periodo un po' così. Sempre nervosa, in allarme. Con il muso lungo. Mio padre che continua a chiedermi stizzito che cazzo mi prende. Mia madre che mi supplica di parlare con lei. Il mio stomaco che chiede cibo, e io mi rifiuto di darglielo, smettendo di mangiare. Il mio corpo che chiede il riposo del sonno, e io mi ostino a rimanere sveglia fino ad orari impossibili finché, inevitabilmente, crollo. Il mio cuore che urla, chiedendo amore e affetto, e la piccola Alice razionale che lo prende a calci, gridandogli di tacere. E io sto zitta. Gli altri mi parlano, e io non rispondo. Continuo a scrivere. Scrivo sempre, ovunque. E qualunque cosa. Scrivo finché la mia mano non ce la fa più. Scrivo finché la mia testa non rimane vuota. Scrivo e basta. Non ho bisogno di parlare di quello che sento. E, per una volta, non sto cercando aiuto. Sto bene così. Che ci crediate o meno, non sono affari miei e che mi riguardino.

Mi ritrovo a chiedermi, ogni tanto, se il vuoto che avvertivo ogni giorno per la maggior parte degli anni passati si sia in qualche modo riempito o se si sia allargato così tanto da aver divorato tutto e non darmi più l'impressione di vuoto.
Non darmi più quella sensazione di mancanza d'aria.


Ci sono persone che, in determinate circostanze, cambiano radicalmente e altre che, non importa quanti anni passino nel frattempo, rimangono sempre dolorosamente le stesse.
Eleonora, da che la conosco, non è mai cambiata di una virgola.
È sempre stata la solita bugiarda manipolatrice che conosco da quando avevo undici anni.
Poi penso a me, a com'ero da bambina e a com'ero da adolescente e a come sono adesso e nonostante alcune cose siano ancora le stesse, altre sono radicalmente diverse.
Non so dire esattamente cosa sia cambiato in me, ma so che quel cambiamento c'è stato e quando mi guardo alle specchio non riconosco assolutamente nulla di familiare nella persona che mi osserva di rimando.
Qualche settimana fa ho chiesto a Serena cosa vede di me, cosa lascio trasparire anche contro il mio volere e l'unica cosa di cui davvero mi pento è non avere più nessuno accanto a me che mi ha vista crescere ed essere tante persone diverse fin dall'infanzia.
Alcune persone hanno conosciuto la bambina e la ragazzina che ero alle elementari e alle medie; Elisa mi ha conosciuta fin dall'asilo e fino alla fine della terza superiore e chi c'è adesso ha avuto solamente frammenti di me stessa al liceo perché ancora non c'era quella confidenza e si può dire che conoscano "davvero" solo la ragazza che sono adesso.
Ma non è rimasto nessuno di vecchia data a dirmi cosa è davvero cambiato.
Avete presente nei film americani quando vengono organizzate quelle cene "dieci anni dopo il diploma"?
Ecco, penso proprio che se mai ce ne fosse una organizzata dalle persone con cui ero alle elementari e alle medie ci andrei solamente per poi chiedere ai presenti cosa vedono di diverso in me.
E sì, forse una volta avrei pensato di chiederlo a mia madre e ogni tanto sono anche sul punto di farlo, ma poi lei mi chiederebbe il perché di quella domanda e io non avrei affatto voglia di rivelare tutto quello che ho taciuto nel corso degli anni.
Cose come il fatto di bere troppo, di essere ancora dipendente da una lametta, di pensare ancora a Luca ogni tanto, la mia sindrome da Peter Pan, il fatto di essere un'artista della fuga, tutti i dolori e i dispiaceri che non ho mai confidato a nessuno se non al mio blog e tutte le altre cose - il marcio che c'è dentro di me - che mi hanno resa la persona orribile che sono oggi.
Nessuna delle persone accanto a me ha una visione completa di me perché sebbene io conosca Serena, Laura, Valentina, Sara e Alessia dalla prima superiore, a Serena mi sono avvicinata solamente in quarta e lei è stata la prima persona in assoluto a cui ho raccontato di quello che era successo con Elisa mentre con le altre ho iniziato ad avere un rapporto più profondo nella seconda metà della quinta superiore.
E nemmeno il pensiero che se Elisa fosse ancora accanto a me potrebbe dirmi cosa c'è di diverso in me, lei che mi conosceva da prima ancora che compissi sei anni, ha senso perché forse, se fosse rimasta, niente di quello che è accaduto in quei due anni infernali si sarebbe verificato.
Ma invece lei se n'è andata e probabilmente quello è stato il calcio d'inizio a quella spirale discendente che mi ha trascinata sotto per due anni.
Quello è forse stato l'inizio di tutta quella serie di cambiamenti che ora mi portano a vedermi come una persona completamente diversa da quella che ero.
E se mi trovassi davanti quella bambina e quella ragazzina, probabilmente mi chiederei smarrita chi siano perché non sarei in grado di riconoscerle.
Loro mi saluterebbero e io non riuscirei nemmeno ad aprire bocca perché quelle persone non le ho mai viste in vita mia.
Non so cosa sia cambiato e non c'è nessuno a dirmelo perché nessuno è cresciuto sempre con me.
So solo che adesso sono più silenziosa e più dura e sorrido meno di quanto facessi anni fa.
E già allora non sorridevo spesso.

A volte mi ritengo più forte di quella che sono in realtà.
Ostento strafottenza quando in realtà me la sto facendo sotto dalla paura.
Ho sempre avuto la brutta abitudine di sopravvalutarmi troppo e la gente mi ha sempre spinta giù dal piedistallo su cui mi ero arrampicata.
Così ho cominciato a sottovalutarmi e una volta presa la strada in discesa, non ho più pensato di ripercorrerla all'indietro.
Non sono mai stata brava a trovare un equilibrio.


Tutte le volte in cui ho parlato della bestia rabbiosa assetata di sangue che è dentro di me, non ho mai avuto un'immagine chiara nella mia testa.
Ogni volta che pensavo a lei, mi venivano in mente solamente i suoi occhi rossi e i denti e gli artigli affilati.
Solo l'altra notte, mentre aspettavo di addormentarmi, mi sono resa conto che quella bestia rabbiosa che fatico a tenere al guinzaglio ha il mio stesso aspetto.
Si tratta solamente dell'ennesima versione di me, quella più autodistruttiva e cattiva che io abbia mai creato.
E che sia mai stata.
Dico sempre che è difficile tenerla al guinzaglio, ma non dico mai quante volte sono tentata di mollare la presa e lasciarmi sbranare da lei.
Da quella bestia assetata del mio e del suo stesso sangue.


On air: The Republic Tigers - Cloven

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