lunedì 25 giugno 2012

A volte può capitare di avere un passato in comune ed essere lo stesso dei perfetti estranei l'uno per l'altro.
O magari lo si è diventati nel corso del tempo e non si è potuto fare a meno di evitarlo.
O magari non si è voluto fare niente di proposito.


A volte puoi avere un passato in comune con una persona e lo stesso non guardarti mai indietro.
Vuoi perché è troppo doloroso, vuoi perché non te ne è mai importato abbastanza o forse te ne è importato anche fin troppo, vuoi perché le cicatrici non si sono ancora rimarginate.
Ma se ancora le senti fare male è perché al passato - a quella storia in comune - magari ci ritorni a dare uno sguardo.
Forse inconsciamente, ma lo fai.
Forse perché quella storia in comune non è così passata come ti piace pensare.


Sono passati undici anni, ma in questo giorno spenderò solo poche parole nei tuoi confronti.
Non perché magari non ne meriti altre, ma perché sono proprio io che non ho voglia di dartele.


Pensavo a te meno spesso, o almeno così credevo fino a quando non ho riletto il blog e mi sono resa conto di quanto fossi comunque presente.
Sogni, pensieri casuali o chissà che altro; tutti piccoli "segni" che avrebbero poi anticipato il nostro ultimo incontro di fine gennaio.
Quando ancora una volta hai mandato all'aria la mia vita e la mia piccola routine costruita a regola d'arte.
E sì, sono stata instabile per le settimane successive, ma poi ho ripreso il controllo.
E ora ti penso raramente.


Oggi non ho dichiarazioni da farti, non ho pensieri romantici da rivolgerti e non ho parole smielate da dirti.
Ho solo uno sguardo di vaga indifferenza e sentimenti raffreddati e intorpiditi dal tempo.
Ti basti sapere che ho solo la consapevolezza che per l'undicesimo anno di fila tu sei ancora rintanato in un angolino della mia mente.
E forse anche del mio cuore e della mia anima.


Ci sono momenti in cui vorrei semplicemente smettere di respirare.
Vorrei che accadesse soprattutto nel momento in cui mi dicono qualcosa che mi ferisce.
Vorrei che accadesse nel momento esatto in cui la frase lascia le loro labbra, in quel piccolo istante che precede la piena comprensione da parte della mia mente.
Ma non accade mai.
E così io mi ritrovo ad assorbire il pieno significato di quella frase e a lottare contro il respiro un po' troppo veloce e quella - l'ennesima - stilettata al mio cuore.
E una volta riacquistata una parvenza di controllo mi ritrovo poi a lottare contro la voglia irrefrenabile di farmi del male.
Di essere io ad avere l'ultima parola su di me, non gli altri.


Ascoltare musica di notte per addormentarmi è diventato anche un modo per non sentire i rumori della vita al di fuori della mia finestra.
Una vita che non mi è mai appartenuta e che non mi apparterrà mai.
E accidenti se vorrei della musica che copra anche il suono di tutti gli insulti e di tutte le frasi cattive.

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