sabato 23 agosto 2014

Non scrivo da un po' di tempo e in realtà non ne avrei voglia neanche adesso ma ho pensato che fosse ora di farlo perché ehi, sono ancora viva.
Certo, un po' a pezzi - e in questo caso letteralmente perché sabato scorso una delle prime cose che ho fatto appena tornata a casa è stata aprire il cassetto e tirare fuori la lametta - ma ancora in piedi. 

Forse sono davvero una persona e un'amica orribile perché spesso non me ne frega niente, ma sentire sempre i soliti discorsi non fa altro che farmi pensare a come io menta sempre, a come io risponda sempre che va tutto bene, a come io nasconda che un polso sanguinante e arrossato e gonfio a volte è l'unica cosa in grado di far tacere cuore e cervello quando gridano troppo forte perché io sono troppo impegnata a concentrarmi sul dolore fisico che provo in quel momento. 

E sabato scorso avevo un attacco d'ansia e lo stomaco annodato ed ero ubriaca, ma non abbastanza.
E avevo male allo stomaco dall'ansia e volevo bere ancora di più ma sapevo che ogni sorso mi avrebbe portata sempre più vicina al vomito e non perché avessi bevuto troppo - non come le uniche due volte in cui ho vomitato in quasi dieci anni che bevo alcolici - ma perché nel mio stomaco non c'era abbastanza spazio per contenere sia la mia angoscia che la vodka.

E mi chiedevano cos'avessi che non andava e io sorridevo, rispondevo che "niente, sto bene" e intanto buttavo giù un altro sorso di vodka, aggrappandomi con tutte le mie forze al pensiero che una volta arrivata a casa poi avrei potuto sfogarmi. 

Ogni tanto mi chiedo cosa pensi mia madre quando da un giorno all'altro mi vede scendere con la fascia avvolta attorno al polso. 
E non voglio che i miei lo sappiano, ma non sempre aspetto che i tagli siano completamente guariti prima di levare la fascia e un po' mi piace provare il brivido di fare le cose di tutti i giorni con il rischio che al minimo movimento i miei genitori vedano i segni. 
Anche se poi, come l'altro giorno che ero in bagno con mio padre ed entrambi ci stavamo lavando le mani e ho ruotato il polso in un certo modo, quasi mi è venuto il panico al pensiero che se ne fosse accorto. 

Ma non lo faccio solo perché mi piace il brivido, levo la fascia anche perché mi piace vedere cosa mi sono fatta.
E sono consapevole che avrei bisogno dello psicologo e di smettere di mentire, ma chiaramente non sono ancora pronta a farlo visto che vado orgogliosa dei miei "capolavori". 

Ho quest'amica qui in vacanza da due settimane che è depressa e che mi ha detto che negli ultimi mesi ha pensato seriamente al suicidio, ma che l'ha fermata solo il pensiero di non voler fare del male a sua madre. 

E forse questo fa di me una persona orribile, ma io non ce la faccio a sentire questi discorsi. 
Non perché non me ne freghi niente, ma perché non puoi parlare di queste cose con un'autolesionista. 

In gergo tecnico si chiama trigger.
È come quando mettono gli avvertimenti in alcune storie - libri o film che sia - dicendo che l'argomento trattato è delicato e per questo potrebbe provocare "ricadute" in alcuni soggetti. 
E le ricadute riguardano tematiche come suicidio, autolesionismo, anoressia e via di questo passo. 

Per me è lo stesso. 
Ricordo ancora quegli episodi di Criminal Minds e The Good Wife in cui si parlava di autolesionismo e a me era venuta immediatamente voglia di tagliarmi, tanto che avevo cominciato a graffiami la pelle del polso con le unghie. 

Non riesco a sostenere conversazioni del genere perché la mia concentrazione finisce poi su me stessa e sulle voglie sbagliate che in realtà non dovrei avere.
Il problema è che se tu continui a mentire e a fingere che vada tutto bene, gli altri poi non sanno che quegli argomenti non vanno nemmeno pensati.
E mentre la mia amica si sfogava, io lasciavo che fossero Serena e Laura a rispondere.

Lei diceva che per aiutarsi a dormire ha bisogno di fumare e intanto io pensavo che invece io ho bisogno di tagliarmi. 
Lei diceva come prima di addormentarsi pensa a svariati scenari di suicidio e intanto io pensavo che invece io immagino scenari in cui sono rimasta sola e non faccio altro che tagliarmi. 
Lei raccontava del giorno in cui ha provato a suicidarsi e intanto io pensavo a quella sera di tanti anni fa in cui mi sono vista nello specchio e mi è sembrato che fosse un'estranea ad osservarmi di rimando ed è scattato qualcosa nella mia testa, tanto che ho sfilato la cintura dai miei jeans e me la sono stretta attorno alla gola fino a smettere quasi di respirare. 

E sono due modi diversi di scendere a patti con le cose, lo capisco. 
Lei ha bisogno di parlarne e di sfogarsi con qualcuno e invece io preferisco nascondere tutto, un po' come si fa con la polvere sotto il tappeto. 

E forse sono davvero un'amica di merda, ma questi discorsi proprio non riesco ad ascoltarli. 
E forse da una parte sarei la persona più indicata perché io so come ci si sente, ma dall'altra proprio mi passa la voglia perché è fin troppo impegnativo prendermi cura di me stessa e farmi da psicologa cercando di riconoscere in anticipo i sintomi e cercare poi di mantenere il controllo, comportandosi da persona razionale. 
E poi ehi, avete dimenticato tutte le volte in cui ho detto di essere egocentrica e di come mi importi solo di me stessa? 
Il che, detto da un'autolesionista, fa un po' ridere.

Non sono a rischio suicidio - so di non esserlo da quando avevo diciannove anni - ma non ho mai smesso di tagliarmi, anche se capita che io riesca a smettere anche per periodi abbastanza lunghi. 
Però tutti quei discorsi per me sono pericolosi comunque perché poi io immagino tutti i modi in cui potrei farmi del male e mi viene voglia di metterli in atto - è come avere sempre il dito sul grilletto e basta il minimo movimento per causarne la premuta. 

Chissà perché questi non-post alla fine finiscono sempre per essere un revival dei (non) bei tempi andati.

On air: The Gaslight Anthem - Break Your Heart

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