martedì 30 aprile 2013

Ricordo quando, in un attacco di rabbia, mi sono messa a strappare quasi tutto quello che avevo appeso alle pareti e agli armadi.
Non ricordo se la rabbia fosse verso di me, di te o verso la mia vita in generale, però ricordo che era feroce.
Ricordo che ad un certo punto avevo deciso di liberarmi di tutto ciò mi facesse tornare in mente te, quindi foto, lettere, bigliettini.
Ricordo che avevo messo tutto in una scatola - a sua volta in uno scatolone - da mettere in soffitta, convinta che il detto "lontano dagli occhi, lontano dal cuore" funzionasse sul serio.
E per alcuni intervalli di tempo così è stato.

Nelle settimane appena passate mi sono decisa a dare una rassettata alla mia camera, quindi a tutti gli armadi e a tutti i cassetti.
Ho eliminato un sacco di roba che non mi "rappresentava" più e altra l'ho sistemata in luoghi più appropriati e anche dato una sistemata a tutti i miei libri.
Mi sono poi imbattuta in quella scatola dove avevo messo le tue foto, le lettere e i bigliettini e, forse per la prima volta, ho sorriso nel vederli, mentre ripercorrevo con un dito la tua calligrafia e intanto rileggevo quelle parole.
Quei "ti voglio bene" che appartengono ad una vita fa.
E sai?
Alcune di quelle foto e di quelle lettere ho deciso di conservarle in camera perché improvvisamente non mi sembrava giusto relegarle in soffitta.
Sia chiaro che la rabbia non mi è passata, quella mai; probabilmente avrò sempre un po' di rabbia cieca a covare sotto le ceneri di una vita che non esiste più.
Però in qualche modo si è smorzata ed ora è più facile sorridere nei confronti di qualcosa che ti riguarda.

Ogni tanto ho paura della persona che sono diventata e a volte mi fa paura quella che ero, ma non so decidere quale delle due mi spaventi più.

Ieri ho finito di leggere Le Notti Bianche di Dostoevskij.
Sebbene in alcuni momenti non facessi altro che alzare gli occhi al cielo per l'assurdità di alcune situazioni - come il fatto che il narratore senza nome ammetta di amare completamente Nasten'ka dopo appena due notti di conversazione - e per la quantità di discorsi prolissi che molto spesso non avevano né capo né coda, sono arrivata alla fine colta da un profondo senso di tristezza e con la scomoda consapevolezza di essere forse troppo simile a quel narratore prolisso.
Sbuffavo quando leggevo di Nasten'ka e del narratore definirsi amici, dirsi che era come se si conoscessero da vent'anni quando invece non erano passate che poche ore di una notte, seduti su una panchina del lungofiume di Pietroburgo a colloquiare.
Ho sbuffato ancora di più quando li ho sentiti dirsi che si amavano, sebbene lei in modo del tutto platonico in quanto il suo cuore apparteneva già ad un altro.
E un po' l'ho odiata Nasten'ka, nonostante il mio disprezzo fosse molto più spesso rivolto al narratore; l'ho odiata per il suo essere così superficiale e vanesia, per il suo essere contenta che il narratore l'amasse sebbene lei poi sia tornata tra le braccia del suo amato, per il suo pretendere l'amicizia, l'affetto, l'amore del narratore anche una volta dopo che si fosse sposata.
E io, che sbuffavo alle parole del sognatore, mi sono ritrovata sì, a disprezzarlo ancora un po', ma anche ad averne compassione.
Forse è stato quando ho realizzato che io in fondo sono come lui: parlo, parlo e parlo, mi limito a sognare ma poi non concludo nulla.
Forse è stato quando ho realizzato che io ho lo stesso tipo di rapporto con me stessa: un po' mi odio e un po' mi faccio compassione.

Le Notti Bianche è un libro che ho un po' amato e un po' odiato, forse perché mi ha fatto mettere in discussione un sacco di cose.
Come il fatto che i protagonisti dicano di volersi bene e di sapere uno tutto dell'altra già alla seconda notte di incontri e mi sono chiesta se non fosse assurdo, se davvero sia possibile fidarsi così tanto di qualcuno appena conosciuto quando io a momenti non mi fido completamente nemmeno delle persone che conosco da quando avevo quindici anni.
Ho ripensato al narratore e a Nasten'ka, a quell'amore (da parte di lui) sbocciato in così poco tempo per una persona vanesia e mi sono chiesta se non fosse un'analogia per me e Luca, sempre ammesso che fossi innamorata.
Non mi sono voluta dare una risposta, ma il tarlo mi è rimasto.

Domenica, mentre tornavo a casa dopo essere stata a cena da mia nonna, con gli Yellowcard nelle orecchie osservavo il cielo ancora un po' striato di arancione ma con le nuvole nere che si addensavano, e intanto potevo sentire i miei demoni scalpitare, svegliati dal loro lungo e apatico letargo invernale dalla dolce brezza primaverile.
E in quel momento ho capito che l'estate sarà infernale.

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